Mese: Marzo 2024

AGI – Le donne coinvolte negli incidenti stradali sono associate a un rischio maggiore di subire traumi rispetto alle controparti maschili. Lo evidenzia uno studio, pubblicato sulla rivista Frontiers in Public Health, condotto dagli scienziati del Medical College of Wisconsin. Il team, guidato da Susan Cronn, ha esaminato i dati relativi alle lesioni da trauma delle vittime di incidenti automobilistici per valutare le distinzioni di genere. Gli equipaggiamenti di sicurezza delle automobili, spiegano gli esperti, sono stati progettati pensando a un corpo maschile, il che potrebbe spiegare perché le donne siano generalmente associate a rischi maggiori di lesioni, traumi e intrappolamenti in caso di incidenti.

 

“Abbiamo scoperto una notevole differenza di genere in termini di lesioni da trauma – sottolinea Cronn – i modelli evidenziano che le donne sono associate a conseguenze importanti più frequentemente rispetto alle controparti maschili, indipendentemente dalla gravità degli urti. Dobbiamo pertanto approfondire e capire come migliorare queste statistiche”. In totale, gli studiosi hanno utilizzato i dati di oltre 56 mila vittime di incidenti stradali. L’impiego di dati clinici, sottolineano gli esperti, è stato estremamente utile per ottenere un quadro reale della situazione piuttosto che semplici stime di rischio. Stando a quanto emerge dall’indagine, gli uomini erano associati a un tasso di infortuni generale superiore, ma il numero di lesioni al bacino e al fegato era significativamente più elevato per le donne, così come il rischio di traumi, perdite di sangue, emorragie e tasso di mortalità.

 

“Queste informazioni – aggiunge Cronn – potrebbero indicare che i corpi femminili sono più vulnerabili in alcune situazioni. Spesso si pensa che i segni vitali siano gli stessi per ogni paziente, ma è possibile che sia necessario ridefinire i parametri di normalità”. Un indice di trauma differenziato per genere potrebbe rivoluzionare il modo in cui medici, paramedici e soccorritori si comportano con le vittime di incidenti. “Speriamo che i nostri risultati possano contribuire a sviluppare migliori sistemi di sicurezza automobilistica – conclude Cronn – che tengano in considerazione le importanti differenze tra i corpi maschili e femminili. Al contempo, i prossimi studi dovranno valutare i dati relativi alla dimensione dei veicoli, la tipologia e la dinamica degli incidenti, che non erano inclusi nella nostra analisi”. 

 

AGI – Chi ricorda soltanto usa i verbi al passato, chi rivive li gira al presente e riaccende la luce su un calendario simultaneo dove riappaiono tutti, i vivi e i morti. È così, declinata al presente, che il lettore conosce vita e morte, opere e rabbie, ostilità incoerenti e incongrue simpatie, accidie e vitalismi di Angela Izzo, donna capace di scandire tremendi improperi dialettali mentre continua a coltivare la passione giovanile per le etimologie latine e greche, schifando però la scelta del figlio quando s’iscrive a Lettere. Anzi, a “Letterelle”. Perché lei è “incline alla concretezza ma refrattaria alla ragione”, aggredisce tutto il mondo pensando che il mondo voglia aggredirla, è vanitosa ma estranea alle moine, innamorata della famiglia ma incapace di amministrare il sentimento. Predilige le barricate agli abbracci. Angela Izzo sarà forse identificata da san Pietro come dal suo professore di licenza liceale: “Angela, certo, da ‘Angello’, ‘annunciare’, e Izzo forse da Ypsos, ‘altezza’?”.     

 

Nata in un paese del Sannio ma cresciuta a Napoli, diventerà moglie di un malinconico raffinato borghese più grande di lei e mamma di tre figli con cui – Catullo le è rimasto impresso come certi feroci proverbi napoletani – imbastirà un rapporto di perenne odi et amo. Ora lei continua a vivere anche dopo che è morta e anche per chi non la conosce perché è protagonista del libro di Antonio Franchini ‘Il fuoco che ti porti dentro’, pubblicato da Marsilio. Lei è (stata) la detestata amata madre dell’autore. E questo libro è il suo bacio feroce. Giovane, adulta, vecchia, morente, Franchini la restituisce a se stesso e ai lettori con la schiettezza coraggiosa e senza cinismo che si domanda a un ‘seppuku’, come ha notato Pietrangelo Buttafuoco in una intensa recensione. Se in un toccante racconto del precedente ‘Leggere possedere vendere bruciare’, Franchini descriveva il padre attraverso il suo amore per i libri, mentre con un affilato taglierino spacchettava i cartoni dei volumi ereditati, in quest’ultimo libro maneggia la spada corta per compiere uno squarcio longitudinale sulla figura della madre, donna ispida da cui presto s’allontanò partendo da Napoli per Milano per non essere come lei, “per mantenere, a distanza, un rapporto formalmente decoroso”.

 

Ma “poi il destino, che ha spesso il talento di predisporre le cose nel modo peggiore, ci ha riunito”. Anche Angela difatti tanti anni dopo si stabilirà a Milano, nell’appartamento accanto allo scrittore dove trascorrerà fino alla fine la vecchiaia stizzosa e visionaria. “Mi sono issato alle inferriate della sua finestra e le ho guardato dentro casa… mi sono reso conto che è mia madre e che sta morendo e che tutto ciò contro cui ho lottato per tutta la vita si dissolverà con lei, nel vuoto, in un niente”.   

 

Tra immaginari “nanilli” che le rubano in casa e ricoveri in ospedale da paziente riottosa, tra liti esplose e inespresse tenerezze davanti al caffè, madre e figlio non riusciranno a rimuovere il panneggio che divide due visioni della vita e dell’umanità. Franchini dipinge in toni spietati e delicati, ironici e commoventi un ritratto di signora che non si ritrova altrove. Non c’è finzione in questa fiction, non c’è la mater dulcissima di Quasimodo ma una mater mediterranea che oppone il Sud al Nord con spregio sanfedista e capotico campanilismo; né c’è una mater lacrimarum come tante ne appaiono nella recente produzione narrativa italiana, laddove riescano a farsi breccia tra ispettori, commissari e portatrici di generiche sciagure ciascuna ritenuta speciale.

 

Il fuoco che ti porti dentro’ è una sberla all’intimismo ombelicale sul più intimo dei temi – raccontare non da romanziere né da memorialista, ma da scrittore, della propria madre – perché la differenza non è tanto nella materia quanto nella sua trasposizione priva di artifici letterari, di morale e contromorale della favola, della certificazione obbligatoria di un senso sottostante ai rapporti e alle vite individuali. Collocato sugli scaffali dei narratori italiani contemporanei soltanto per carenza di spazio nelle case, Franchini dovrebbe stare in un reparto a sé per la stilistica bisestile dei suoi libri, per la cifra dispari che gli deriva da una certa idea di letteratura, dal talento e dalla lunghissima esperienza di editore di successo, ossia di chi ha veduto i libri da un’altra prospettiva, dove sulla materia grezza del formato word si combattono montaggi, ripensamenti e tagli poi occultati al lettore.

 

Torna in mente il suo romanzo inchiesta ‘L’abusivo’, quando raccontò di uno spettacolo (di Walter Chiari) visto da dietro le quinte senza dovervi recitare ma fruendo della prospettiva rovesciata di uno spettatore interno. Proprio ne ‘L’abusivo’ già compariva Angela Izzo assieme a sua mamma, la nonna dell’autore, in duetti scontro che non restituivano solo un’atmosfera famigliare ma un ettaro sociale di humus napoletano, un domestico dietro le quinte di quanto accadrà en plein air nella città e che ne spiega certi umori collettivi altrimenti poco comprensibili.

 

Osservò Franchini in ‘Cronaca della fine’ che “anche un tema può essere ‘interessante’ ma raramente è un’opera di letteratura”. Ora, ne ‘Il fuoco che ti porti dentro’, aggiunge che “se non ci fosse la letteratura” neanche la vita che abbiamo posseduto possederemmo davvero, “perché ognuno se la ricorda a modo suo e la vita nostra non è affatto la vita nostra ma il racconto che ce ne siamo fatti e che chiunque abbiamo incontrato è in grado di raccontare in tutt’altro modo”. E poiché è letteratura (ma è anche interessante), questo libro non nasce con l’intento di “una resa dei conti postuma”, perché “non è leale battersi coi morti”, ma per onorare il desiderio di Angela di recitare ancora, attraverso le pagine del figlio, “una parte anticonformista e scorretta”. L’autore rimane comunque marzialmente fedele a un principio che espresse ventidue anni fa, in un succinto ‘Rileggersi da adulti’ che accompagnava la ristampa di ‘Quando scriviamo da giovani’: “La scrittura per me non chiude i conti con la vita”.

AGI – La Procura di Roma, al termine della requisitoria di fronte al terzo collegio penale, ha chiesto le condanne a 8 anni di reclusione per Gianfranco Fini, a 9 anni per Elisabetta Tulliani, a 10 anni per Giancarlo Tulliani e a 5 anni per Sergio Tulliani.

 

La contestazione, a vario titolo, e riciclaggio. Al centro della vicenda giudiziaria c’è la vendita della casa di Montecarlo, lasciata in eredità dalla contessa Annamaria Colleoni ad Alleanza Nazionale, che sarebbe stata acquistata, secondo l’accusa, da Giancarlo Tulliani attraverso società off-shore. Un’operazione effettuata nel 2008, per poco più di 300mila euro e che con la vendita dell’immobile nel 2015 frutto’ un milione e 360mila dollari.

 

“Era scontato che la pubblica accusa chiedesse la condanna, continuo ad avere fiducia nella giustizia. Questo in ragione della mia completa estraneità rispetto a quanto addebitatomi”, ha commentato Gianfranco Fini. 

 

La compagna: “Nascosi a Gianfranco la volontà di mio fratello”

 “Sento il dovere di confessare le mie responsabilità: ho nascosto a Gianfranco Fini la volontà di mio fratello di comprare la di casa Montecarlo. Non ho mai detto a Fini la provenienza del denaro che ero convinta fosse di mio fratello; il comportamento spregiudicato di mio fratello rappresenta una delle più grandi delusioni della mia vita”.

 

Lo ha affermato, di fronte ai giudici del tribunale di Roma, Elisabetta Tulliani. La donna è imputata assieme all’ex presidente della Camera Gianfranco Fini, al padre Sergio Tulliani e al fratello Giancarlo Tulliani. “Spero – ha aggiunto – di aver dato un elemento per arrivare alla verità”.
Al centro della vicenda giudiziaria c’è la vendita della casa di Montecarlo, lasciata in eredità dalla contessa Annamaria Colleoni ad Alleanza Nazionale, che sarebbe stata acquistata, secondo l’accusa, da Giancarlo Tulliani attraverso società off-shore. Un’operazione effettuata nel 2008, per poco più di 300mila euro e che con la vendita dell’immobile nel 2015 frutto’ un milione e 360mila dollari.