Mese: Marzo 2024

AGI – Sarebbe stato il suo 81esimo compleanno oggi per Lucio Dalla, il grande cantautore bolognese scomparso il primo marzo del 2012 ma mai dimenticato dal suo pubblico e tantomeno dalla sua città. Un artista poliedrico, che ha attraversato decenni di storia musicale italiana toccando e parlando a più generazioni.

 

Dodici anni senza Lucio che Bologna e la sua Piazza Grande celebrano con diverse iniziative tra cui quella di stasera al teatro Celebrazioni dal nome ‘Viaggi organizzati‘, a tributo dello storico album uscito 40 anni fa.  Madrina della serata stasera, nell’ambito della rassegna ‘Ciao – rassegna di Lucio Dalla’, sarà Nina Zilli per un evento televisivo che andrà poi in onda il 6 aprile in seconda serata su Rai 1.

Insieme ai vincitori dei Ballerini Dalla 2024, saliranno sul palco i due vincitori di “CIAO Contest. La musica di domani”, dedicato a giovani artisti e producer emergenti under 35. Intanto nel capoluogo emiliano e’ tuttora meta di turisti e di fan l’ormai celeberrima panchina di Lucio Dalla in piazza Cavour: una statua raffigurante il cantautore posizionata da seduto su una panchina. Un modo per farlo sentire ancora presente in citta’. (AGI)Adv

 

AGI – Un pugno di combattenti che si batte disperatamente fino all’ultimo uomo in nome della libertà e dell’indipendenza. In una sola parola: Alamo. Ma fu vera gloria Il mito si è appropriato della storia e il cinema si è appropriato del mito nel raccontare a tinte agiografiche l’epopea di un forte che non era un forte e di americani sulla cui sete ideale di libertà vanno fatte diverse tare. Nella notte del 6 marzo 1836 con un attacco risolutivo concluso all’alba l’esercito messicano del generale Antonio López de Santa Ana spazzava via la resistenza dei miliziani. Patrioti americani? In parte. Asserragliati nella vecchia missione c’erano indipendentisti del Texas, avventurieri di ogni risma, persino proprietari terrieri messicani, schiavisti irriducibili, tutti ribelli all’autorità centrale incarnata dal generale-presidente. Ma per comprendere meglio, occorre un passo indietro.

Terre offerte a prezzo simbolico

Il Messico si era affrancato dalla Spagna nel 1821 dopo un decennio di guerra per l’indipendenza. Dopo la breve parentesi imperiale con Agustin de Iturbide, era nata la Repubblica degli Stati uniti del Messico che arrivava sino al Canada. Una grave crisi economica che aveva portato sul lastrico gli agricoltori dei giovani Stati Uniti d’America, spinse il governo messicano, in accordo con quello di Washington, a offrire terreni a un prezzo simbolico a chi volesse trasferirsi nello stato federato di Copahuila e Tejas, rendendoli coltivabili e presidiandoli dalle incursioni degli indiani; come contropartita i coloni dovevano assumere la cittadinanza messicana, cambiare o adattare i cognomi anglosassoni in ispanici e convertirsi al cattolicesimo. Due anni prima della battaglia di Alamo gli immigrati erano già 30.000, quasi quattro volte gli autoctoni, i cosiddetti tejanos.

 

Le tensioni tra le comunità si erano acuite nel 1833 con la presa del potere da parte del generalissimo Santa Ana, che avviò riforme radicali nelle carriere pubbliche privilegiando il merito sulla casta, aprì l’esercito ai meticci e, nel più ampio disegno imitativo dell’esperienza francese, laicizzò lo Stato e ridusse le autonomie locali. In alcuni stati federali il suo giro di vite non fu ben accolto, e l’abolizione della schiavitù nel 1835 diede un colpo all’economia agricola e segnatamente ai coloni anglosassoni del Texas, restii anche a seguire le direttive di Città del Messico sulla produzione di carne e cereali mentre invece avrebbero voluto dedicarsi al cotone, richiestissimo e più redditizio, la cui raccolta era demandata agli schiavi.

 

E proprio nel 1835 si verificarono i primi incidenti. L’ordine di disarmare le milizie era stato disatteso, così come quello di espellere gli immigrati illegali, mentre la presenza di soldati regolari era mal tollerata e così gli arresti dei capi di quella che appariva già come una rivolta, agitata dalla revoca della Costituzione federale del 1824. I texani si impadronirono di un cannoncino utilizzato per difendersi dalle scorrerie degli indiani, e quando i soldati messicani ne chiesero la restituzione cucirono una grande bandiera su cui campeggiava una stella su un cannone e la scritta “Come on take it”: venite a riprendervelo. La scaramuccia di ottobre divenne scontro, lo scontro guerra di indipendenza

 

 

Si era costituito subito un governo provvisorio con l’indipendentista Henry Smith  come governatore e Samuel Houston come capo militare di un improvvisato esercito regolare del Texas formato da volontari, molti dei quali giunti dagli Stati Uniti attratti dalla possibilità di ricevere appezzamenti di terra in cambio dei loro servigi. Una milizia di poche centinaia di uomini indisciplinati e inaffidabili che mostrò subito i suoi limiti, ma che si sarebbe galvanizzato ai primi successi dovuti alla sorpresa sui regolari e alle tattiche di guerriglia. Santa Ana decise di marciare sulla provincia ribelle alla testa di un corpo di spedizione agli inizi del 1836 che, pur incompleto, il 21 febbraio giunse a Bejar per attaccare i texani che si erano asserragliati ad Alamo; che non era un forte ma una missione, fondata dai francescani nel 1724 col nome di Sant’Antonio de Valero e costruita dagli indios.

 

Il nome successivo deriva dalla provenienza di un reparto di cavalleria spagnola che si era acquartierato lì dopo la secolarizzazione, non da un filare di pioppi (alameda) come si è sostenuto in seguito. Quella struttura cadente e senza tetto, perimetrata da 400 metri di mura poteva andare bene per respingere gli indiani, non un esercito regolare. I difensori erano circa 200 agli ordini del colonnello William Barrett Travis, e oltre la suo tra i nomi entrati nell’epica spiccano quelli del famoso cacciatore ed esploratore Davy Crockett, che era stato persino deputato al Congresso degli Stati Uniti (1833-1835), e del colonnello James Bowie mandato lì dal comandante Houston per portare via i preziosi cannoni di grosso calibro di cui dotare il suo esercito: ma senza animali da soma era impossibile, quindi rimase ad Alamo a combattere. L’iconografia ha tramandato Crockett con l’immancabile cappello di procione o di tasso, che in realtà non ha mai indossato: si tratta infatti di una creazione disneyana. Bowie era un avventuriero noto per il particolare coltello che da lui aveva preso il nome e per il carattere deciso.

Racconto eroico per entrare nel mito

La battaglia iniziò la sera del 23 febbraio, preceduta dall’accortezza di esporre in campo messicano la bandiera rossa per comunicare agli assediati che non sarebbe stata data requie a coloro che erano considerati ribelli e passibili di pena capitale. Solo la resa incondizionata poteva impedire il massacro, ma i texani rifiutarono, confidando di poter ricevere quegli aiuti richiesti con le staffette e che non sarebbero mai arrivati. Gli scontri di artiglieria e le scaramucce si protrassero per undici giorni. L’attacco generale fu disposto da Santa Ana nella notte tra 5 e 6 marzo, in tre ondate, l’ultima delle quali sbaragliò la resistenza texana e una miriade di corpo a corpo decise l’esito peraltro scontato.

 

Non si combatté di giorno, come raccontato nel costosissimo e ampolloso kolossal del 1960 di John Wayne. Non fu risparmiato quasi nessuno, tranne alcuni non combattenti come donne e bambini e pure uno schiavo, pochissimi riuscirono a fuggire, diversi miliziani vennero passati per le armi dopo essersi arresi. I messicani riportarono da 400 a 600 perdite, ma le cifre vennero poi abbondantemente gonfiate dalla propaganda americana. Si salvò sicuramente il francese Louis Rose, ex ufficiale napoleonico decorato di Légion d’honneur, che aveva deciso di andarsene, e naturalmente si salvarono le staffette. Sulla morte dei principali protagonisti fiorirono leggendarie versioni eroiche non suffragate dalla storia, così come si sono affastellate versioni discordanti quasi su tutto, a partire dal reale numero dei difensori.

 

Non si sa neppure se vi fossero bandiere a svettare sulle rovine della missione tranne quella azzurra dei volontari di New Orleans (ancora oggi conservata come trofeo al Museo di storia da Chapultepec). Anche la musica del deguello, inscindibilmente legata all’epopea di Alamo, non ha riscontri. «Remember the Alamo!» divenne la parola d’ordine con cui Houston lanciò all’attacco i texani il 21 aprile 1836 a San Jacinto, cogliendo una vittoria folgorante (in neanche 20 minuti) e definitiva su Santa Ana costretto a firmare la Dichiarazione di indipendenza del Texas in cambio del suo rilascio dalla prigionia. Si accendeva la stella solitaria del Texas indipendente sul modello degli Stati Uniti, consacrata dalle prime elezioni presidenziali del 1836 vinte da Houston che darà pure il nome alla capitale, come accaduto con Washington.

 

Ma il Messico non si rassegnava alla perdita di una regione ricca, il nuovo Stato era fragile e senza strutture politico-amministrative, e allora un referendum propose l’annessione agli Usa, dove peraltro i pareri erano discordanti. Lo stesso presidente Andrew Jackson era tiepido: il Texas era un terzo di tutti gli Stati Uniti ed era radicalmente schiavista, e poi attraeva avventurieri di ogni risma a caccia di terre e di fortuna, in una clima di illegalità, orgoglio e aggressività. Pesava pure il timore di una guerra col Messico revanscista. Per salvare il Texas dalla bancarotta Houston non vedeva altra via d’uscita che l’annessione e nel 1843 aprì le trattative boicottate da frange oltranziste una parte e dall’altra.

 

Ma il Congresso texano approverà l’annessione il 4 luglio 1845 ratificata a schiacciante maggioranza il 13 ottobre. Il 29 dicembre la stella texana entrava nella bandiera americana come ventottesimo Stato dell’unione. Nel 1936 il mito di Alamo, a cento anni dalla battaglia, veniva celebrato con la realizzazione di un magniloquente cenotafio. Il cinema già nel 1911 ci metteva di suo nel celebrare e coltivare la leggenda consolidando errori e invenzioni.

AGI – Diciassette persone arrestate e una sottoposta a obbligo di dimora oltre a sei società, del valore di 10 milioni di euro, sequestrate. È il bilancio dell’operazione “Scirocco” eseguita questa mattina, nelle province di Catanzaro, Vibo Valentia e Cosenza, dai carabinieri del Comando Tutela Ambientale e Sicurezza Energetica e del Comando per la Tutela Forestale e dei Parchi. L’indagine riguarda un rilevante inquinamento ambientale determinato dall’illecita gestione di diversi impianti di depurazione al servizio dei comuni calabresi. Quattro le persone finite in carcere e 13 quelle ai domiciliari, mentre la diciottesima misura cautelare è un obbligo di dimora. L’inchiesta riguarda la gestione di 34 impianti di depurazione assegnata, secondo l’accusa, con ribassi eccessivi. 

 

 I reati contestati a vario titolo sono associazione per delinquere, attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, inquinamento ambientale e frode nelle pubbliche forniture. Tra le contestazioni anche un tentativo di estorsione aggravato dalla modalità mafiosa nei confronti di un dipendente di una società, il quale avrebbe subito una minaccia da parte di esponenti della consorteria di ‘ndrangheta locale, su commissione del proprio datore di lavoro, al fine di farlo desistere dall’intraprendere iniziative sindacali finalizzate all’ottenimento di spettanze stipendiali dovutegli.

 

 

 

Nei confronti di altre 12 persone, tra cui 4 funzionari di enti locali, sono state emesse informazioni di garanzia. L’indagine ipotizza l’esistenza di un’organizzazione tesa all’ottenimento di più commesse e all’esecuzione degli appalti in frode ai contratti e alla commissione di reati ambientali derivanti dalla gestione di 34 depuratori al servizio di 40 comuni ubicati nelle 5 province calabresi.In particolare, si ipotizza che i responsabili delle società ottenessero illeciti profitti attraverso l’abbattimento dei costi di gestione degli impianti di depurazione, determinato principalmente dal parziale trattamento dei fanghi prodotti dalla lavorazione delle acque reflue, nonché dalle mancate manutenzioni previste dai capitolati d’appalto; la redazione di falsi formulari di identificazione rifiuti nei quali si attestava il fittizio conferimento di rifiuti presso un impianto di depurazione con sede in un comune della provincia di Catanzaro; lo smaltimento illecito di ingenti quantitativi di rifiuti (fanghi prodotti dal trattamento delle acque reflue urbane, rifiuti prodotti dalla pulizia delle acque di scarico, fanghi delle fosse settiche), per più di 2.000 tonnellate, nell’arco di circa un anno che venivano conferiti presso il citato impianto di depurazione fanghi, per una asserita attività di trattamento, in realtà mai eseguita; la richiesta ad alcuni dei Comuni, con successiva liquidazione, degli oneri per le operazioni di manutenzione degli impianti di depurazione, prestazioni che invece avrebbero dovuto essere a carico della società.

 

Le condotte illecite, secondo gli inquirenti, hanno avuto come conseguenza il malfunzionamento di numerosi impianti di depurazione comunali che in 10 casi hanno comportato l’illecito sversamento dei liquami non trattati sia nei terreni circostanti che direttamente in mare, con evidente compromissione delle matrici ambientali.Nel corso delle indagini sono stati sequestrati 4 depuratori dislocati in varie località della Calabria ed è stato effettuato l’accesso in 24 comuni ricadenti nelle 5 province calabresi, da cui sono emersi diversi casi di frode ai danni della pubblica amministrazione con il concorso di funzionari pubblici.

Determinanti sono stati, a riscontro dell’attività investigativa, le attività tecniche di monitoraggio dei siti grazie ai quali è stato ricostruito l’illecito modus operandi. Un dato importante è emerso, secondo quanto si apprende, dai periodici monitoraggi effettuati da Legambiente sulla qualità del mare, dei laghi e delle coste, che hanno confermato il quadro allarmante della situazione che caratterizza la qualità delle acque nei pressi dei siti di depurazione presi in esame.