Il declino della seria editoria scientifica anglosassone: un’analisi approfondita

L’editoria scientifica anglosassone sta vivendo un periodo di profondo declino, caratterizzato dalla perdita di rigore e incorruttibilità a favore di un approccio economico-finanziario finalizzato al successo personale e alla carriera. Questo è quanto emerge dall’analisi condotta da Luca De Fiore nel suo libro “Sul pubblicare in medicina”, in cui rivela le pressioni lobbistiche, la sciatteria e la mancanza di scrupoli da parte dei manager, che hanno preso il posto degli esperti e dei responsabili editoriali.

De Fiore, che ha svolto la sua ricerca all’interno della Pensiero Scientifico Editore, esamina ogni aspetto di questo mondo, basandosi sul lavoro di esperti come Richard Smith, ex redattore capo del British Medical Journal (BMJ) e autore di un libro importante sull’editoria scientifica.

Uno dei principali fattori che ha contribuito al declino dell’editoria scientifica è il denaro. Mentre in passato il profitto ideale per gli editori era di un centesimo all’anno, oggi l’editoria scientifica genera un fatturato di 30 miliardi di dollari, di cui il 40% negli Stati Uniti. La maggior parte degli editori sono a scopo di lucro, mentre solo il 10% delle university press anglosassoni riesce a guadagnare qualcosa.

Un altro aspetto preoccupante riguarda il numero eccessivo di pubblicazioni nel settore. Attualmente ci sono 36.000 periodici scientifici, di cui 13.000 non più attivi ma comunque accessibili. Nel 2022 sono stati pubblicati ben 5,14 milioni di articoli, creando un’infodemia secondo il direttore generale dell’OMS, Tedros Ghebreyesus. Nel novembre 2020 è stato pubblicato un articolo sul Covid-19 ogni tre minuti. Nel 2006, un direttore di un istituto di ricerca ha firmato un articolo ogni quattro giorni. Questo si traduce in un’enorme quantità di informazioni, che spesso vengono pubblicate solo per alimentare i curricula dei professionisti a fini di carriera, senza alcuna reale utilità.

Un altro problema riguarda il cambio di ruolo delle case editrici e delle riviste accademiche, che non sono più al servizio dei lettori ma degli autori. Le ricerche vengono frammentate (salami slicing) in modo da poter pubblicare più articoli sullo stesso argomento. Non c’è più tempo per attendere i mesi necessari affinché le buone riviste valutino e pubblichino un lavoro, quindi le ricerche vengono divise in sotto-segmenti e pubblicate su riviste minori e spregiudicate a pagamento, con tariffe che possono variare da 150 a 9.900 dollari. Inoltre, sempre più spesso si assiste al saccheggio dei dati online grazie all’open access e all’intreccio di relazioni insalubri con l’industria del settore.

Secondo De Fiore, è necessario rivedere anche le regole della costosa peer review (revisione tra pari) e dell’impact factor. Inoltre, occorre affrontare il problema dei paper mill (articoli fabbricati) e delle predatory journal (riviste predatorie), oltre alle sfide poste dall’intelligenza artificiale.

Nonostante il quadro allarmante dipinto da De Fiore, il suo libro si conclude con una nota di speranza, sottolineando che non possiamo permetterci di rinunciare a credere che una rivoluzione sia possibile. Propone sei idee per ristrutturare il settore, con l’obiettivo di ripristinare il rigore e l’incorruttibilità nell’editoria scientifica, affidando il compito ad esperti e editori responsabili.

In conclusione, l’editoria scientifica anglosassone sta attraversando un periodo di profondo declino, caratterizzato da una perdita di rigore e da un approccio economico-finanziario finalizzato al successo personale. Tuttavia, ci sono ancora speranze per il futuro se si riuscirà a ristrutturare il settore e a ripristinare i valori fondamentali dell’editoria scientifica.

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