La Biennale di Venezia, uno dei più prestigiosi eventi artistici al mondo, ha recentemente ospitato una mostra dal titolo “Con i miei occhi” presso il Padiglione della Santa Sede. Ciò che rende questa esposizione unica è il luogo scelto per ospitarla: la casa di reclusione femminile all’isola della Giudecca.
Le opere esposte sono state realizzate da artisti di fama internazionale come Maurizio Cattelan, noto per il suo provocatorio “Father”, che richiama il Cristo Morto di Mantegna, e Marco Perego e Zoe Saldana. Tuttavia, non sono le opere stesse a dettare la scena, ma piuttosto l’atmosfera particolare che si respira all’interno della prigione.
Durante la visita, i visitatori vengono guidati da detenute stesse che hanno dato il loro consenso a far parte dell’esperienza. Solo 25 persone alla volta, su prenotazione e rispettando rigorosi protocolli di sicurezza, possono entrare nella prigione e ascoltare le storie di queste donne. È un’esperienza che non lascia indifferenti e che pone molte domande una volta che si varca il cancello d’uscita.
La visita inizia con la consegna dei documenti e del cellulare, seguita dall’incontro con la “guida” di turno, come ad esempio Giulia. Si entra quindi nella caffetteria dove sono esposti i lavori di Corita Kent, unica artista non vivente protagonista della pop-art e dell’attivismo femminista. Giulia spiega le opere, facendo più volte riferimento ai concetti di libertà, recupero e cura delle persone, soprattutto degli ultimi. Si sottolinea che, nonostante abbiano commesso degli errori, queste donne sono sempre persone.
Una delle opere più toccanti della mostra è un video che racconta la storia di una detenuta appena uscita dalla prigione. Nelle immagini, si vede la donna seduta su una panchina di fronte al canale della Giudecca, guardando un colombo malato, forse morente. Questa scena evoca sentimenti di empatia e compassione per le difficoltà che queste donne hanno affrontato e che continuano ad affrontare.
La mostra “Con i miei occhi” ha il merito di portare l’arte in un contesto inusuale e di mostrare come l’arte possa essere uno strumento di guarigione e di trasformazione anche nelle situazioni più difficili. Le opere esposte non solo rappresentano la sofferenza e la lotta delle detenute, ma anche la loro forza e resilienza.
La Biennale risplende di luce nella “notte” delle detenute, offrendo un’esperienza artistica unica che ci spinge a riflettere sulle tematiche legate alla giustizia, alla libertà e alla dignità umana. La mostra dimostra che l’arte può essere un potente strumento per creare consapevolezza e promuovere il cambiamento sociale.