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Mese: Aprile 2024
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AGI – Lo schwa Roba già superata. La neoavanguardia del linguaggio ora s’affida all’Università di Trento, che ha introdotto ufficialmente il “femminile sovraesteso”. Cosa vuol dire? Che il rettore Flavio Deflorian è una “rettrice” (comunque magnifica), che ogni professore è una “professoressa”, ogni candidato una “candidata” e così via. Una “scelta simbolica”, ha precisato la rettrice Deflorian a beneficio degli sprovveduti che pensavano a una svista, a una burla o a una sbronza collettiva del Consiglio di amministrazione dell’ateneo trentino.
Dovendo stendere un Regolamento che non s’appesantisse con il terminologico raddoppio per parità di genere, il Consiglio ha pensato di tornare a declinare il testo in un unico genere. Come usava una volta, però al rovescio. Non più il patriarcale d’antan che metteva il maschile per tutti, ma un futuribile matriarcale dal sapore di vendetta per interposto vocabolario: “Cari ometti, se adesso vi sentite esclusi pensate a come ci siamo sentite noi per sì lungo passato”.
Ora, sarà solo un dettaglio, ma il Consiglio di amministrazione dell’Università di Trento, se non bastasse la rettrice Flavio Deflorian, risulta presieduto dalla presidente Daniele Finocchiaro e ha per componenti (meno male che è un plurale valevole per tutti) Massimo Gaetano Colombo, Ettore Cosoli, Andrea Del Mercato, cui s’aggiungono Irene Enriques, Paola Fandella e Sara Valaguzza nonché la presidente del Consiglio degli Studenti, Gabriele Di Fazio. Totale: 6 uomini su 9. Però basta cambiare il Regolamento e la parità è compiuta, anzi di più: sembrano tutti femmine. Basta coi fatti, contano le parole.
AGI – Liste d’attesa sempre più lunghe, ospedali senza medici al pomeriggio, sanità privata sempre più ricca. Sono queste le conseguenze che Maurizio Viecca, primario dell’ospedale Sacco, vede nella novità dell’obbligo di recuperare le ore lavorate in più introdotta dal nuovo contratto dei medici, in vigore da qualche settimana. “Faccio un esempio: se un medico lavora diverse ore in più al mese poi deve stare a casa a riposo – spiega all’AGI -. Visto che ogni medico accumula in media circa 20 ore in più al mese, magari perché lavora nel weekend o fa i turni di guardia, che sono obbligatori, significa che, quando tutti si metteranno a recuperare le ore extra, chiuderemo gli ospedali alle due del pomeriggio. Il pubblico ne avrebbe conseguenze rovinose, con le liste d’attesa che si allungherebbero pazzescamente ancora di più. Il privato diventerebbe ancora più ricco perché i pazienti, trovando chiusi gli ambulatori in orario pomeridiano, si rivolgerebbero altrove. Del resto, l’Italia è l’unico Paese europeo dove non ci si pone il problema di garantire prestazioni adeguate anche al pomeriggio “.
Secondo l’esperto cardiologo milanese, ci sono due soluzioni possibili per ovviare a questo problema: “O si aumenta il personale medico oppure si pagano gli straordinari che adesso vengono versati solo in casi particolari. La prima soluzione è la più difficile, considerando la penuria di medici oltre di infermieri, e anche la più onerosa. I medici italiani sono al penultimo posto nella classifica europea degli stipendi, peggio di noi c’e’ solo la Grecia”.
Cosa succedeva prima in caso di lavoro extra. “Non c’era una regola precisa, ognuno faceva un po’ quello che voleva – risponde Viecca -. Ora giustamente le amministrazioni sanitarie saranno obbligate a rispettare la nuova regola. Pensiamo se un paziente dovesse morire per un’ipotetica colpa medica. Interverrebbe la Procura ipotizzando che ciò sarebbe avvenuto perché il medico non ha riposato abbastanza qualora non avesse rispettato la regola del riposo. I danni di questa novità non li vedremo subito ma a mano a mano che si accumuleranno i riposi“. Il primario suggerisce un’altra possibilità per irrobustire la sanità: “Bisognerebbe dare la possibilità ai medici pensionati di fermarsi in ospedale. Come? Dandogli subito la liquidazione e pagandogli uno stipendio normale, ovviamente senza i contributi”
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AGI – Un piccolo miracolo che a volte accade: ti imbatti nel libro che avresti voluto leggere. Anche se non lo sapevi. Puoi scoprirlo dal tema, lo stile, le atmosfere o la potenza che quel libro evoca, ma nel caso di Sognava i leoni (HarperCollins) di Matteo Nucci tutte le opzioni valgono. Non era semplice rileggere la vita e l’opera di Hemingway unendo devozione e senso critico, né fare i conti con il rifiuto che ne accompagna la figura in questi ‘tempi corretti’, utilizzando al tempo stesso letteratura e filosofia greca per spiegare il senso del suo lavoro. Nucci ha infuso passione nella sua ricostruzione/rilettura del lascito di Papa Ernest e coraggio da autore nell’intesserla di citazioni, accettando il confronto inevitabile con un gigante. Gli abbiamo chiesto a quali forze abbia attinto.
Partiamo dall’inizio: come nasce e cosa vuole rappresentare ‘Sognava i leoni’?
Hemingway è stato lo scrittore più influente del Novecento, ma il suo mito ha finito per oscurarlo. Il pescatore delle famose fotografie ha prevalso sull’uomo che si metteva di fronte alla pagina per creare frasi di perfetta semplicità. Ho voluto raccontare lo scrittore, dunque, che è poi l’uomo, al di là degli stereotipi da rivista.
Il libro analizza l’intera produzione di Hemingway, alla luce dei cambiamenti che avvenivano nella sua vita, intervallandola a una esegesi de ‘Il vecchio e il mare’: perché questa scelta
‘Il vecchio e il mare’ è l’ultimo libro pubblicato in vita e un punto d’arrivo in cui si condensa tutta la ricerca – per così dire – filosofica di Hemingway. Lo scrisse velocemente, ma la storia l’aveva chiara da quindici anni. E in effetti gli ci era voluta una vita per raggiungere quella semplicità così profondamente complessa. Dunque ho usato il libro come la perla in cui brilla un percorso lungo, duro, e molto più sofferto di quanto si sia abituati a pensare.
Grazia sotto pressione e pietas: qual è la logica della correlazione che lei propone con Omero?
Con i poemi omerici Hemingway condivide lo stile. Certo è una conquista inconsapevole, ma accade spesso che Omero sia nelle nostre vene da sempre, senza neppure saperlo. Qui però sono anche i contenuti a brillare. L’eroismo che racconta Hemingway è lo stesso di quello omerico: uomini che sbagliano, perdono, muoiono, e che però fanno i conti con se stessi, con la propria fragilità e la propria finitezza e per questo, non per altro, sono eroi.
Hemingway ha pubblicamente condiviso in testi ibridi, come ‘Morte nel pomeriggio’ e ‘Verdi colline d’Africa’, le sue idee sulla scrittura: cosa è rimasto oggi di principi come quelli di verità, immedesimazione e omissione?
È rimasto moltissimo. Nelle scuole di scrittura si ripetono come un mantra certe leggi hemingwayane e nessuno evita di tornare sulle questioni più famose, come la “teoria dell’iceberg”. Peccato che non se ne colga mai il senso profondo e si finisca per farne delle regole vuote. Certo sta ai frequentatori delle scuole farle vivere. Cosa rarissima perché in genere chi vuole davvero scrivere non frequenta le scuole. Hemingway scriveva per curarsi, per vivere. Chi oggi ha lo stesso bisogno può trovare in quei libri indicazioni decisive.
Nel libro esplora anche il rapporto dello scrittore con la natura. Perché era così importante?
Siamo abituati a pensare Hemingway come uno di quei protestanti anglosassoni propensi a sottomettere e conquistare la natura, dimensione esterna all’essere umano e su cui l’umano deve prevalere. Non è così. E non solo perché non abbiamo a che fare con un protestante, visto che la sua fu un’educazione prevalentemente cattolica. Hemingway crebbe nella natura e il suo racconto è il racconto di un’immersione. Di nuovo è ‘Il vecchio e il mare’ a mostrarci esemplarmente questo atteggiamento. Il vecchio uccide il pesce ma gli è amico, gli parla, è unito a lui come a tutti gli esseri mortali. Il vecchio è immerso nella natura mortale e il mare in cui vive lo ama anche quando può portargli morte, lo chiama usando il femminile e non il maschile, la mar, non el mar come fanno i giovani che vogliono dominarlo, il mare. Il vecchio è immerso nel ciclo delle nascite e delle morti. È il perfetto paradigma dell’eroe hemingwayano.
Il tema del fallimento come condizione di finitezza umana, la lotta tra morte e scrittura, il gioco del torero: la disperazione di Hemingway è moderna
Per chi come me ama gli antichi, non esiste antichità e modernità. Esiste una dimensione metastorica in cui riluce l’umanità al di fuori delle epoche e delle tradizioni. Hemingway non è moderno. È eterno.
Perché ha usato Platone per spiegare il significato dell’opera di Hemingway?
La scrittura di Hemingway è fondata sull’omissione del fatto principale e sul silenzio. Questo silenzio nella prima parte della produzione hemingwayana, fino a ‘Per chi suona la campana’, è un silenzio tecnico, ovvero un espediente che serve – stando alla teoria dell’iceberg – a dare vera forza a ciò che si omette. Ma più Hemingway si avvicina al senso ultimo, sfiorando l’assoluto e l’essere, e più capisce che certe cose non si possono e non si devono dire. Proprio come indicava Platone. È la legge che deve seguire chiunque faccia i conti con le più alte verità. Di ciò di cui non si può parlare si deve tacere. Questo è Wittgenstein. L’esito di questa scoperta è una certa forma di misticismo.
‘Sognava i leoni’ è una biografia letteraria o un libro sulla scrittura
È un libro in cui si rincorre un uomo che viveva per scrivere e scriveva per vivere. E che lottava con la morte e di morte principalmente scriveva. Ora, chi combatte la morte, si occupa di amore e infatti la ricerca di Hemingway gira tutta attorno all’amore assoluto. Questo libro quindi non so come vada definito, però certamente è un libro di amore. Un libro dominato dal mio amore per Hemingway e per la sua scrittura. E un libro in cui c’è tutta la mia ricerca sull’amore assoluto necessario a combattere la morte.
AGI – Si chiama Nina, ed è il primo sistema in Italia di label recognition, ossia di utilizzo dell’intelligenza artificiale per contrastare i fenomeni di falsi prodotti made in Italy. È il Consorzio di Tutela della Mozzarella di Bufala Campana Dop a servirsi di una ‘guardia del corpo’ virtuale (e infatti la rappresenta come un robot umanoide biancovestito con uno scudo tricolore) per l’attività di vigilanza contro le mozzarelle non dop o non di bufala ma spacciate per tali che spesso si trovano in banconi e scaffali. L’iniziativa è stata presentata oggi al ministero dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste.
Il progetto, ideato dal Consorzio, è stato commissionato alla società Farzati, che ha messo a punto un sistema di intelligenza artificiale, chiamato con il nome di una delle bufale più longeve e produttive nella storia del comparto, in grado di apprendere e riconoscere i pattern di autenticità degli incarti. “Nina rappresenta un salto di qualità nell’attività di vigilanza sulla mozzarella di bufala campana Dop e testimonia che, se ben utilizzata, la rivoluzione dell’intelligenza artificiale puo’ essere di grande aiuto alla tutela del Made in Italy – spiega il direttore del Consorzio, Pier Maria Saccani – l’applicazione dell’Ia renderà possibile per il Consorzio implementare in maniera esponenziale la propria attività di vigilanza sul mercato ma anche di fornire un servizio di monitoraggio a favore dei soci. Cosi’ per la prima volta l’agrifood di eccellenza si allea con l’innovazione tecnologica, restando al passo con le sfide del mondo globale”.
Solo nel 2023 il Consorzio ha effettuato 5mila verifiche, che si aggiungono a quelle degli altri enti deputati (Asl, carabinieri, Icqrf) per un totale di circa 15mila controlli l’anno, che fanno della Bufala Dop uno dei prodotti più tutelati in Europa. “L’obiettivo è di potenziare sempre più la trasparenza del comparto, puntando sull’innovazione digitale. Questo progetto si aggiunge alla totale tracciabilità della filiera, che oggi, partendo da una singola mozzarella di bufala Dop consente di risalire fino alla partita di latte con cui è stata prodotta. L’ulteriore step realizzato eleva gli standard di efficienza della filiera e consente di differenziare ancor di più la Bufala campana Dop dalle altre mozzarelle in commercio”, ha sottolineato il presidente Domenico Raimondo.
Il nuovo sistema si basa su una piattaforma che sfrutta l’Intelligenza Artificiale in un processo di miglioramento continuo. L’IA cerca e verifica sul web, con tecniche di scraping, tutti i riferimenti che incontra sulla Mozzarella di Bufala Campana Dop, analizza in base a delle regole di apprendimento la presenza di imitazioni, contraffazioni, evocazioni e abusi. Il sistema verifica gli incarti di mozzarella Dop, imparando a distinguere quelli autentici da eventuali imitazioni, migliorando con l’esperienza e diventando sempre più preciso nel riconoscere i fake. Attraverso questo modello di apprendimento continuo, l’IA perfeziona la sua capacità di identificare i criteri di autenticità e conformità degli incarti, offrendo un livello aggiuntivo di protezione.
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