Nuove scoperte nel campo della pressione sanguigna stanno aprendo la strada a nuovi farmaci e trattamenti personalizzati. Uno dei più vasti studi condotti fino ad oggi ha identificato 113 nuove regioni del DNA collegate alla pressione sanguigna, portando il totale delle regioni genomiche che influenzano la pressione a oltre 2.000. Questo importante risultato è stato pubblicato sulla rivista Nature Genetics ed è il frutto di una grande ricerca guidata dall’Università Queen Mary di Londra, che ha coinvolto oltre 1 milione di partecipanti e più di 140 ricercatori provenienti da oltre 100 atenei e istituti di ricerca.

La ricerca ha visto anche la partecipazione italiana, con importanti contributi da parte dell’Accademia Europea Eurac di Bolzano, dell’Ospedale Burlo Garofolo e dell’Università di Trieste, dell’Istituto di Ricerca Genetica e Biomedica di Monserrato (Cagliari) e dell’Istituto di Genetica e Biofisica di Napoli, entrambi del Consiglio Nazionale delle Ricerche, e dell’Istituto San Raffele di Milano.

L’ipertensione è un disturbo spesso ereditario e la componente genetica gioca un ruolo importante insieme a fattori ambientali come una dieta ricca di sale, la mancanza di esercizio fisico, il fumo e lo stress. Quando la pressione sanguigna è costantemente troppo alta, può causare danni al cuore e ai vasi sanguigni, aumentando il rischio di malattie cardiache, malattie renali, ictus e altre condizioni.

I ricercatori guidati da Helen Warren hanno combinato quattro grandi insiemi di dati sull’intero genoma, scoprendo oltre 2.000 regioni legate alla pressione sanguigna, tra cui 113 mai individuate in precedenza. Molte di queste regioni si trovano all’interno di geni che giocano un ruolo nel metabolismo del ferro, confermando precedenti analisi che suggeriscono che alti livelli di ferro accumulato possono contribuire alle malattie cardiovascolari.

“Il nostro studio ha identificato ulteriori posizioni genomiche che spiegano una parte molto più ampia delle differenze genetiche nella pressione sanguigna delle persone”, commenta Jacob Keaton dei National Institutes of Health statunitensi, uno degli autori dello studio. “Conoscere il rischio di una persona di sviluppare ipertensione potrebbe portare a trattamenti personalizzati che hanno maggiori probabilità di essere efficaci”, aggiunge Keaton.

Grazie ai risultati ottenuti, gli autori dello studio sono stati in grado di calcolare un “punteggio” del rischio per ogni individuo, che tiene conto degli effetti di tutte le varianti genomiche per prevedere la pressione sanguigna e il rischio di ipertensione. Questo punteggio potrebbe diventare uno strumento utile nella medicina di precisione, ma sarà necessario raccogliere dati genomici più diversificati. Attualmente, i dati utilizzati provengono principalmente da persone di origine europea, ma i ricercatori hanno scoperto che i punteggi di rischio sono applicabili anche a persone di origine africana.

Questa scoperta rappresenta un importante passo avanti nella comprensione dell’ipertensione e potrebbe aprire nuove strade per lo sviluppo di farmaci mirati e trattamenti personalizzati. Con la conoscenza di oltre 2.000 regioni del DNA legate alla pressione sanguigna, i medici potrebbero essere in grado di identificare meglio i pazienti a rischio e adattare i loro trattamenti in base alle loro specifiche caratteristiche genetiche. Questo potrebbe portare a una riduzione significativa delle malattie cardiovascolari e migliorare la salute delle persone in tutto il mondo.

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