Il centenario del delitto Matteotti: un’indagine tra verità e fake news
Sono passati cento anni dal delitto che ha scosso l’Italia e ancora oggi l’omicidio di Giacomo Matteotti, segretario del Partito socialista unitario, rimane uno dei crimini più discussi e importanti del XX secolo italiano. Matteotti fu ucciso da una banda di sicari fascisti il 10 giugno 1924 e da allora sono stati scritti numerosi libri e articoli che cercano di indagare sul movente di questo delitto.
Una delle interpretazioni fuorvianti, che si è dimostrata infondata, sostiene che Matteotti sia stato ucciso perché aveva in mano documenti compromettenti sulla corruzione dei gerarchi del regime fascista. Tuttavia, le prove storiche e il quadro degli avvenimenti indicano un’altra strada: il segretario del Psu è stato assassinato a causa del suo discorso in Parlamento del 30 maggio 1924, in cui denunciò le violenze e i brogli fascisti nelle elezioni precedenti. Fu proprio Benito Mussolini, sfogandosi con i suoi uomini, a dire che Matteotti non avrebbe dovuto più circolare dopo quel discorso. Questo quadro del delitto Matteotti è stato delineato da Giampiero Buonomo, esperto di storia parlamentare, nel suo libro ‘Nascita e morte della democrazia in Parlamento 1920-1924’.
Mussolini e Matteotti rappresentavano due visioni opposte della politica. Il primo credeva nel potere basato sulla forza e nella censura, mentre il secondo vedeva l’ingresso delle masse in politica come una possibilità di allargare la base sociale dello Stato. Questo conflitto di idee si scontrò con la realtà del dopoguerra, in cui c’era una massa di reduci pronti a essere organizzati in milizie armate. Mussolini sfruttò abilmente questa situazione e creò una milizia armata al servizio del movimento fascista per zittire gli oppositori.
Matteotti era una vittima designata perché aveva studiato attentamente il fenomeno fascista e aveva osservato come veniva accolto nelle strutture pubbliche. La sua ultima interrogazione parlamentare era focalizzata sul numero di fiduciari presenti nei gabinetti ministeriali. Nei pantaloni insanguinati di Matteotti, che furono trovati nella valigia di uno dei sicari, c’erano anche i biglietti da visita dell’Ufficio stampa della Presidenza del consiglio. Questo dimostra quanto fosse vicino alla verità.
Tuttavia, non bisogna dipingere Matteotti come uno scandalmonger. Le sue analisi politiche erano basate su informazioni di pubblico dominio e non cercava la ribalta mediatica. Le testimonianze di persone come Turati e Modigliani dimostrano che Matteotti era un politico impegnato e le sue azioni non erano in contrasto con l’idea che i suoi compagni avevano di lui.
La stampa filofascista è stata la prima a diffondere la teoria dei malaffari in possesso di Matteotti. Il giornale Nuovo Paese aveva già una campagna in corso contro la convenzione petrolifera e utilizzò il delitto per alimentarla e allo stesso tempo fare un favore al fascismo. Mussolini stesso era il mandante dell’omicidio, come dimostra il fatto che il capo della polizia De Bono ordinò la liberazione di uno dei sicari con un telegramma firmato “per il ministro”, e il Ministro dell’interno era Mussolini stesso.
Mussolini cercò di trarre vantaggio politico dalla morte di Matteotti, accettando l’idea che la scomparsa potesse essere un rapimento o una morte bianca. Utilizzò anche la notizia in modo spregiudicato, come dimostra il fatto che Dumini, uno dei sicari, si trovava in tribuna a Montecitorio solo ventiquattro ore dopo l’omicidio, mentre Mussolini scherzava con Baldesi, che aveva sostituito Matteotti nel discorso parlamentare.
L’inchiesta sull’omicidio di Matteotti si concluse praticamente in nulla. Le speranze generate dall’indagine di Mauro Del Giudice svanirono a causa della sordina mediatica imposta dal governo e delle interferenze che bloccarono l’inchiesta. La delusione che questa situazione causò nell’opinione pubblica portò alla circolazione sotterranea di immagini di Matteotti e alla solidarietà internazionale nei confronti del suo nome. Questo ha contribuito a generare un germe di opposizione resistenziale che avrebbe riscattato l’indifferenza del Paese negli anni successivi.
Il delitto Matteotti rimane ancora oggi un mistero e le teorie del movente continuano a essere dibattute. Tuttavia, è importante ricordare la figura di Giacomo Matteotti come un politico coraggioso che ha lottato per la democrazia e ha pagato con la sua vita.