Autore: admin1356

AGI – Un true crime incentrato su un caso che 40 anni fa fece sensazione; quella della quindicenne nera Paula Cooper, condannata alla sedia elettrica in primo grado per l’efferato omicidio di un’anziana catechista bianca avvenuto nel 1985 nei sobborghi di Gary, Indiana. Quella sentenza di morte per una minorenne divise le coscienze e determinò una mobilitazione internazionale che coinvolse anche e soprattutto i media italiani ed il Vaticano. Ma il ruolo decisivo nel salvare infine la vita di Paula fu svolto dal nipote della vittima, che scelse la strada di compassione e perdono schierandosi pubblicamente contro la sua condanna.  ‘Settanta volte sette’ (Il Pellegrino Edizioni, traduzione di Augusto Monacelli) è frutto di 5 di anni lavoro dedicati a visionare migliaia di documenti, lettere, articoli, filmati e fotografie, ed intervistare decine di persone, nell’obiettivo di fare chiarezza sulla paradigmatica vicenda Cooper.  Per capire quali ragioni l’abbiano spinta a questo immane impegno l’AGI ha incontrato l’autrice del libro, la scrittrice americana Alex Mar.

Il tema centrale di ‘Settanta volte sette’ è il perdono: può dirsi anche quello del nostro tempo?

Il percorso che conduce al perdono è fatto di immedesimazione e dialogo: in un tempo in cui, più che confrontarsi, si tende ad annunciare le proprie idee portarlo a termine diventa molto complesso e difficile. Si parli di un conflitto più ampio o di un singolo crimine il primo impulso resta sempre la vendetta, ma è necessario imparare a convivere con gli altri. Penso che per un autore sia importante focalizzarsi su una singola storia per affrontare grandi temi: è questo che mi ha spinto ad approfondire la vicenda di Paula Cooper. Ma ho dovuto lavorare molto per capire chi fosse stata da giovanissima, prima di commettere il crimine, poter provare empatia per lei ed infine trovare il modo di chiedere ai lettori di condividerla. Per qualsiasi tipo di conflitti il processo è simile: se riusciamo a vedere i colpevoli di violenza da un punto di vista umano potremo pensare alle punizioni che meritano da un punto di vita umano.

Un secondo, importante tema sollevato dal suo lavoro riguarda la questione razziale: qual è il suo grado di modernità nel 2024?

Il pregiudizio razziale è purtroppo intrinseco al sistema giuridico americano, a partire dalle sue fondamenta. Da moltissimi anni si lotta perché diventi più equo, ma temo non succederà presto. La comminazione della pena di morte, ad esempio, è più probabile se la vittima di omicidio è bianca ed in generale ad un crimine corrisponde una condanna più dura a seconda del colore della pelle di chi lo ha subito. Le proteste di qualche anno fa per la morte George Floyd, diffusesi in tutto il mondo, dimostrano in modo chiaro che un problema esiste.

Il suo libro punta l’attenzione anche sulla questione della protezione dell’infanzia: quanto è attuale, specie in alcune zone del mondo?

Da un punto di vista giuridico, ovunque nel mondo le comunità restano scioccate  quando persone molto giovani commettono crimini gravi e ci si trova a fare i conti con le decisioni da prendere al riguardo: da una parte si vuole proteggere l’infanzia, dall’altra va tenuta al sicuro la collettività. E’ importante che i bambini siano sempre visti come bambini. Anche se la storia che racconto nel mio libro risale agli anni ‘80 e ’90, resta fondamentale anche oggi definire l’infanzia come tale e tutelarla. Il sistema giuridico Usa è molto migliorato in questo senso, ma alcuni politici lo strumentalizzano per apparire più duri con il crimine.

A proposito, qui in Italia non comprendiamo come negli Stati Uniti possa ancora esistere la pena di morte.

Anche se il supporto alla pena capitale va diminuendo, negli Stati Uniti molti pensano che non verrà mai abolita, in parte anche per ragioni politiche. Sostenerla, come dicevo, è un modo per dimostrare agli elettori inflessibilità contro il crimine. Va considerato che la nostra cultura è fondata sul contrasto tra bene e male e buoni e cattivi: anche per questo chiedere vendetta appare più facile che mettere mano a un sistema disfunzionale.

Può la pena capitale essere eliminata in un mondo in guerra

Penso che dipenda dal grado di rispetto dell’Occidente per la legge internazionale e da quanto siamo davvero disposti a dare una definizione legale ai crimini di guerra. Questo ha molto a che vedere con la pena di morte.

Settanta volte sette è una frase del Vangelo di Matteo, si tratta della risposta data da Gesù a una domanda di Pietro sul limiti del perdono: quale dovrebbe essere il ruolo delle religioni in questo momento storico?

Finché gli essere umani sentiranno il bisogno di dare un significato alle proprie vite molti lo troveranno nella religione. Nella cosiddetta vita secolare è infatti più difficile rintracciare un senso ultimo. Personalmente lo rinvengo nel mio lavoro, ma ritengo che dare risposta a questa ricerca sia il compito delle religioni.

AGI – Un messaggio in codice via radio dà il via libera il 2 aprile 1944 a quella che sarà chiamata Svolta di Salerno sulla questione istituzionale. «Madrid ci consiglia svolta partecipazionista. Tenetene conto intendendovi con Pietro. Firmato Gegè». Madrid è Palmiro Togliatti, Pietro è Pietro Nenni e Gegè è Eugenio Reale, ovvero il gruppo dirigente del Partito comunista italiano. È un deciso cambio di rotta rispetto ai punti cardine stilati da Togliatti in ossequio a Georgi Dimitrev, già segretario generale del Komintern sciolto da Stalin con uno dei suoi diabolici giri di valzer politici: l’abdicazione di Vittorio Emanuele III, in quanto responsabile della nascita del regime fascista e dei suoi crimini, e la reggenza temporanea del Maresciallo Pietro Badoglio, ma col rifiuto dei comunisti a partecipare al governo in carica, riservandosi solo di entrare in quello nuovo auspicabilmente con Carlo Sforza come premier. Questi punti sono fissati il I marzo, quando Stalin è invece già pronto a sparigliare le carte e a spiazzare gli Alleati angloamericani riconoscendo per primo il governo italiano. Togliatti era convinto che il presidente americano Franklin Delano Roosevelt fosse favorevole a mantenere il vecchio Re, e che l’arrivo degli americani a Roma, dopo lo sbarco di Anzio, avrebbe rimescolato la situazione in senso favorevole ai Savoia. 

Cambio di prospettiva 

L’atteggiamento degli Alleati sulla questione istituzionale era già emerso il 28 gennaio a Bari in occasione del Congresso dei partiti antifascisti convocato in forma semiufficiale perché gli angloamericani non intendevano riconoscere a essi la rappresentatività del popolo italiano e men che meno il crisma sull’abdicazione del re e della convocazione di un’assemblea costituente, come richiesto. I britannici erano possibilisti sulla continuità dinastica, gli statunitensi assai meno. Stalin ha invece l’esigenza che i comunisti “pesino” nella composizione del nuovo governo e pertanto si è affrettato a riconoscere quello di Badoglio portando una cambiale all’incasso per il PCI in chiave geopolitica di riassetto dei Balcani. Nella notte tra il 3 e il 4 marzo convoca Togliatti e gli dice che deve andare in Italia, a Salerno dove ha sede il governo, per prendere accordi con Badoglio e con Vittorio Emanuele. Il 4 il Cremlino avverte sulla disponibilità a riconoscere il governo italiano e quando la notizia filtra, per gli inglesi diventa un problema nella gestione degli affari italiani, perché rafforza i poteri al vertice e indebolisce quelli della Giunta esecutiva permanente eletta dal congresso del CLN a Bari. 

Riconoscimento a sorpresa e l’azione di Togliatti   

Il 14 marzo il riconoscimento è cosa fatta, Il compagno Ercole Ercoli, alias Togliatti, è partito per Napoli e vi giunge via mare il 26. Harold Mcmillan aveva visto giusto sul cambio di prospettiva rispetto all’abdicazione del Re e la fine dell’esperienza di Badoglio. Il 3 aprile, con l’arrivo di Togliatti al tavolo politico, i contrasti tra i partiti si acuiscono, come peraltro nella riunione del 6 a casa di Benedetto Croce alla presenza di Carlo Sforza, quando liberali e democristiani sno convinti a spostarsi sulle posizioni comuniste. Il 15 aprile la linea di Togliatti prevale e di fatto il ruolo della Giunta esecutiva si svuota. Il 22 aprile il Re nomina i ministri del II governo Badoglio, il primo con i sei partiti antifascisti del CLN. Ministri senza portafoglio sono Togliatti (PCI), Croce (Partito liberale), Sforza (indipendente), Pietro Mancini (PSIUP) e Giulio Rodinò di Miglione (DC); all’Interno va Salvatore Aldisio (DC), la Giustizia viene assegnata a Vincenzo Arangio-Ruiz (PLI), le Finanze a Quinto Quintieri (PLI), l’Agricoltura a Fausto Gullo (PCI), l’Industria e il commercio ad Attilio Di Napoli (PSIUP), i Lavori pubblici ad Alberto Tarchiani (Partito d’azione), l’Educazione nazionale ad Adolfo Amodeo (Pd’A) e le Comunicazioni a Francesco Cerabona (PDL); il resto dei dicasteri spetta a Badoglio e ai militari. Tutti giurano a Ravello, nelle mani di Vittorio Emanuele, che formalmente da pochi giorni si è ritirato a vita privata. Togliatti, intanto, si circonda subito dei più irriducibili antimonarchici, a riprova che la Svolta di Salerno è una pace tattica di compromesso ma con chiari intenti utilitaristici di partito secondo le direttive di Mosca. 

 

La liberazione di Roma e la fine dei Savoia 

  
Quel governo rimarrà in carica appena 55 giorni, e cadrà il 6 giugno non appena si avvera la clausola risolutiva espressa che è rappresentata dall’ingresso degli Alleati a Roma. Saranno loro a negare a Vittorio Emanuele di rimettere piede nella Capitale da lui abbandonata il 9 settembre 1943 con la fuga di Pescara, e pure alle truppe italiane cobelligeranti di essere le prime a entrare nella Città eterna, concedendo solo di montare la guardia al Quirinale. Il Re rimarrà abbarbicato a un trono che non è più suo e che nessuno intende riconoscergli, schermandosi con l’escamotage della Luogotenenza al figlio Umberto, il 12 aprile 1944, e ritirandosi dalla scena senza cedere il ruolo. Abdicherà solo il 9 maggio 1946, a Napoli, con atto notarile in carta da bollo, come un borghese qualunque. È, quello, l’ultimo mese della monarchia in Italia. Il 2 giugno la questione istituzionale sollevata dai partiti antifascisti a Bari si scioglie con il referendum che vede prevalere la Repubblica sulla monarchia con circa 2 milioni i voti di scarto e uno strascico di virulente polemiche giuridiche e politiche. Umberto II il 13 giugno partirà per l’esilio a Cascais, in Portogallo.     

AGI – Il Comune di Turbigo della Città Metropolitana di Milano, guidato da una coalizione di centrodestra, deve rispondere alla locale comunità musulmana “entro le ore 14 del giorno 5 aprile 2024 alla richiesta di concessione di un luogo al chiuso o all’aperto per celebrare la festa di fine Ramadan e, nel caso di risposta negativa, avrà cura di indicare eventuali spazi che sarebbero stati idonei all’utilizzo e le ragioni della loro indisponibilità”. È quanto si legge in una decisione del Tar della Lombardia visionata dall’AGI che arriva, spiega l’avvocato Luca Bauccio, legale dell’associazione religiosa ‘Moschea Essa’ insieme al collega Aldo Russo, “dopo che in tre mesi il Comune non ha risposto a ben tre richieste della comunità musulmana per ottenere uno spazio per festeggiare la fine del Ramadan, l’Aid El Fitr”. 

 

Il ricorso era stato presentato proprio ‘contro’ il silenzio tenuto dal Comune sull’istanza datata 26 febbraio 2024 dell’associazione “affinché il Comune provveda a mettere a disposizione in data 9 e 10 aprile 2024, nella fascia oraria compresa tra le 7 e le 11, uno spazio coperto o scoperto, nel quale poter festeggiare la festività musulmana”. Nel decreto il presidente della V sezione del Tar, Daniele Dongiovanni, scrive che “alla richiesta avanzata dall’associazione nell’ambito del ricorso in materia di silenzio possa darsi adeguata tutela, onerando il Comune di concludere celermente l’istruttoria relativa all’istanza e fornire una risposta scritta entro il termine delle ore 14 del 5 aprile 2024”. Lo stesso statuto comunale, viene ricordato dal giudice, prevede che a ogni istanza il Comune dovrebbe provvedere “entro 30 giorni dalla data di protocollo, termine ormai scaduto”. Il Comune di Turbigo, guidato dal sindaco di Fratelli d’Italia Fabrizio Allevi, non si era costituito in giudizio. 

 

 “Ancora una volta assistiamo alla negazione di un diritto fondamentale riconosciuto dalla Costituzione a tutte le minoranze religiose: il diritto alla preghiera e all’identità religiosa – commenta all’AGI Bauccio -. Il Tar ha correttamente ricordato che l’amministrazione ha il dovere di garantire gli spazi di incontro e preghiera e un eventuale diniego deve essere sempre motivato. Andremo avanti finché non sarà garantito alla comunità musulmana di Turbigo il pieno godimento dei diritti fondamentali della persona. Una società libera e democratica non ignora le minoranze e ha cura e attenzione verso le loro legittime richieste”. 

 

 Nel ricorso presentato al Tar contro il Comune di Turbigo, i legali dell’associazione culturale musulmana ‘Essa’ scrivono che, qualora non dovesse essere riconosciuto uno spazio per festeggiare la fine del Ramadan, “saremo costretti a dover agire in ogni sede competente per il completo ristoro dei danni”.

 

“L’associazione – è scritto nell’istanza letta dall’AGI – è priva di un proprio luogo di culto. In attesa di poterne disporre, specie in occasione delle principali ricorrenze e festività, ha la necessità di un luogo adeguato e dignitoso che permetta il sereno esercizio di quella fondamentale libertà che è la libertà religiosa, così come di quella di culto garantita dall’articolo 19 della Costituzione quale diritto inviolabile, da intendersi non come indifferenza dello Stato di fronte all’esperienza religiosa, bensì come tutela del pluralismo, a sostegno della massima espansione della libertà di tutti”.

 

L’associazione ha inviato tre richieste via Pec al Comune per avere indicazione di un luogo dove festeggiare la fine del Ramadan datate 26 febbraio e 22 e 25 marzo, “solleciti tutti caduti nel vuoto”.

 

“Il Comune – affermano i legali Bauccio e Russo – è venuto meno al proprio dovere legato alle libertà e garanzie costituzionali non avendo sin qui messo a disposizione uno spazio adeguato e dignitoso per consentire alla comunità musulmana di festeggiare la fine del Ramadan”.