Autore: admin1356

AGI – Si frequentavano da tempo, erano felici. Lui, Vincenzo Nocerino, 20 anni, aveva chiesto l’auto in prestito al padre ieri sera. Voleva uscire con la sua fidanzata, una 21enne iraniana, da alcuni anni a Napoli per studiare. Una panino in centro e poi verso casa nella periferia nord di Napoli, Secondigliano, quartiere noto alle cronache agli inizi degli anni duemila per la faida tra clan, ma in realtà storico municipio agricolo alle porte della città.

 

A fine serata i due giovani hanno deciso di appartarsi nel garage del palazzo dove lui abitava, in via Fosso De Lupo. C’era freddo e probabilmente per questo hanno lasciato il motore acceso per riscaldare l’abitacolo. Forse non si sono accorti che stavano lentamente morendo. Li hanno trovati vicini, nudi e privi di vita, prima svenuti e poi soffocati dalle esalazioni dei gas di scarico che hanno invaso il box auto e l’interno della vettura. Il garage era chiuso e l’aria non circolava.

 

A trovare i cadaveri è stato il padre di Vincenzo, che, non vedendolo tornare a casa, ha iniziato a cercarlo, andando a controllare in garage e trovando alle 8.30 di questa mattina il motore ancora acceso e il gas che aveva impregnato tutto il locale. I carabinieri hanno delimitato l’area e fatto allontanare decine di curiosi, gente del posto che davanti alle divise e al nastro bianco e rosso credeva che quei due corpi potessero essere di persone uccisi dalla camorra. La zona, infatti, è stata per anni al centro di feroci faide.

 

Saranno le analisi e gli accertamenti anche autoptici disposti dal pm di turno a confermare le cause e la dinamica della morte, ma la pista di un incidente fatale è quella prevalente dopo le minuziose prime indagini dei carabinieri. Che ancora indagano non trascurando alcuna possibilità e visionando le immagini delle telecamere per controllare i movimenti di Vincenzo e della sua ragazza. 

AGI – E’ tornata in piazza, una settimana dopo il grande corteo dell’8 marzo del movimento ‘Non una di meno’, la protesta dei movimenti filo-palestinesi contro la reazione di Israele all’aggressione di Hamas del 7 ottobre che ha provocato oltre 31 mila morti nella striscia di Gaza. Al Circo Massimo il Movimento degli studenti palestinesi in Italia, l’Api-Associazione dei palestinesi in Italia e l’Unione democratica arabo palestinese-Udap hanno organizzato un corteo per la Palestina “per fermare il genocidio” con la partecipazione anche dei rappresentanti del movimento di liberazione curdo Pkk. Nel giorno della ‘Festa della donna’ c’erano trentamila persone, soprattutto giovani, e molti di loro hanno sfilato con bandiere della Palestina portando cartelli in cui si chiedeva a Israele di fermare “il genocidio”. Un’espressione forte ma che nessuno al corteo ha messo in dubbio, soprattutto referendosi alle intenzioni dichiarate del governo di estrema destra guidato da Benjamin Netanyahu. Oggi i manifestanti sono stati meno di allora, qualche centinaio appena ma altrettanto rumorosi. Il corteo ha seguito un percorso diverso da quello dell’8 marzo, dal Circo Massimo a Via Marmorata passando per via delle terme deciane per finire a viale Trastevere (angolo viale Glorioso). Davanti agli striscioni con cui si è chiesto lo stop al genocidio e inneggiato alla Palestina libera un camioncino con sopra una foto di Netanyahu e Giorgia Meloni che si danno la mano coperta con delle manate di vernice rosse. Uno striscione portato da un gruppo di ragazzi recitava “Con la resistenza del popolo palestinese – End Israeli apartheid”. 

 

 

Dai microfoni sono partiti tanti slogan: quelli lanciati dalla ragazza completamente avvolta in una kefia che sul camion che guidava il corteo ha invitato i manifestanti a ripetere le sue parole, a quelle che lungo il serpentone sono state rilanciate da altri manifestanti con megafono. Ce n’è per tutti, da Israele alla Nato, dal governo ai giornalisti ‘venduti’: ‘Uccidono le donne, uccidono i bambini, Israele assassini’, ‘Giornalista terrorista ti ha pagato un sionista’, ‘Un applauso alla resistenza palestinese: ora e sempre resistenza’, ‘I popoli rivolta scrivono la storia intifada fino alla vittoria’, ‘Se qui non cambierà intifada pure qua’, ‘Israele vada via Palestina casa mia’, ‘Dall’Ucraina alla Palestina Nato terrorista, Nato assassina’. Poi i classici ‘Free free Palestine’, o i sempreverdi ‘Contro la guerra imperialista lotta di classe internazionalista’ o ‘Il proletariato non ha nazione internazionalismo, rivoluzione’ di un gruppetto con le bandiere di ‘Potere al popolo’. Un corteo non proprio affollato, seguito a distanza da molte camionette della polizia che si snoda rapidamente lungo il suo percorso in maniera pacifica. 

 

AGI – Dal 21 al 24 marzo l’Auditorium della Mole Vanvitelliana di Ancona ospiterà la prima edizione nazionale del festival Popsophia, manifestazione interamente dedicata ad esplorare il quanto mai attuale tema della spettacolarità del male.
Per scoprire quale sia lo spirito di questo evento ed in che modo si prefigga di coniugare intrattenimento e divulgazione sviscerando cause e origini della nostra fascinazione per le immagini di violenza, crudeltà e catastrofi proposte da cinema, tv e nuovi media, l’AGI ha incontrato l’ideatrice e curatrice di Popsophia,  la filosofa, scrittrice, opinionista tv e docente di Storia dello Spettacolo Lucrezia Ercoli.

 

Qual è l’idea portante di Popsophia

 

Il tentativo è quello di coniugare il pop – nel duplice senso di pop culture e cultura di massa, intesa come l’insieme dei fenomeni del vivere quotidiano – e la filosofia quale capacita del pensiero critico di riflettere sul presente. Nato nel 2011, e per tredici edizioni itinerante in varie città delle Marche, Popsophia approda ad Ancona sull’onda dell’intento, condiviso con il Comune cittadino e la Regione Marche, di stabilizzare la sfida culturale che portiamo avanti sul piano nazionale. Anche attraverso l’idea di aprire un laboratorio permanente sui temi della manifestazione.

 

In che modo il programma del festival declinerà questa sfida

 

Di giorno attraverso gli incontri con giornalisti, scrittori, docenti e filosofi inseriti nelle tre rassegne Philofiction, Cinesophia e Mediascape che dedicheremo all’immaginario cinematografico, della serialità televisiva e dell’universo digitale. La sera con la specificità del nostro progetto: i format di spettacolo filosofico Philoshow. Proveremo a dar vita a rappresentazioni in cui musica dal vivo, montaggi audiovisivi e parole, mie e degli ospiti, esploreranno temi diversi. Con Marcello Veneziani si parlerà di nichilismo e canzonette, con il divulgatore scientifico Michele Bellone di immaginario distopico, con Carlo Massarini di  rock e male. Proporremo inoltre dei laboratori filosofici per adulti e bambini, in cui il filosofo si porrà come mediatore, più che conferenziere, lasciando alla platea il ruolo di protagonista. Infine, abbiamo in programma la Mostra d’arte Pentagon, che nella nostra galleria virtuale e modulare MeGa, fruibile con visori, racconterà l’idea insita nella location, il pentagono perfetto della Mole Vanvitelliana, esplorando i rapporti tra geometria e filosofia.

 

Qual è il fine di psicanalizzare il voyeurismo dello spettatore medio?

 

Quello di una presa di consapevolezza. La verità è che oggi non possiamo più esimerci dall’essere spettatori del male, perché ci raggiunge attraverso troppi canali. Gli immaginari della letteratura, del cinema, della serialità tv e della musica possono aiutarci ad acquisire  coscienza di questo nostro costante guardare in modo passivo il dolore degli altri. E’ un passaggio necessario, se non vogliamo chiudere gli occhi su ciò che siamo. E’ tempo di provare a rivolgere lo sguardo verso noi stessi, invece di cercare sempre il mostro altrove.

 

Oggi la filosofia è vissuta come qualcosa di scollegato dal quotidiano, quale potrebbe essere il suo ruolo attivo nel nostro tempo?

 

La filosofia dovrebbe rappresentare la cassetta degli attrezzi con cui affrontare il presente, un grimaldello per aprirci alla riflessione ed alla comprensione di meccanismi che senza il suo contributo ci resterebbero estranei. La disciplina filosofica non nasce in una dimensione accademica, è stato il linguaggio tecnico che ha assunto nel tempo ad aver allontanato la sua capacità di parlarci senza distinzioni. Se torna ad essere cosa viva e concerta, credo possa ancora ricoprire un ruolo cruciale nello spazio pubblico. Il tentativo del festival è mostrare come sia rimasta intatta la sua capacità di leggere la realtà, oltre i manuali.

 

‘Lo spettacolo del male’ è anche il titolo di un suo saggio appena uscito per Ponte alle Grazie, la cui tesi è che il male è insito in ognuno di noi.  

 

Il festival nasce in effetti da un lungo lavoro, partito dalla necessita di guardare in faccia il volto di Medusa: quella crudeltà che è specifica del genere umano non appartenendo ad altre specie animali. Lo scopo è  quello di venire a patti con questo lato oscuro che tentiamo di rimuovere, cercando sempre di trovare un capro espiatorio. Di prendere atto del nostro essere, come diceva Susan Sontag, davanti al dolore degli altri.

 

La nuova tecnologia, ormai estensione del corpo, ci offre attraverso gli Smartphone la terribile possibilità di essere immersi senza soluzione di continuità in uno spettacolo di dolore che ci commuove o indigna. Ma in realtà sono reazioni che alimentano lo spettacolo stesso, emotivamente tese a giustificare il voyeurismo e il perverso godimento che ci provoca. Il bombardamento di immagini del male ci sta facendo dimenticare il ruolo del nostro sguardo, le colpe e responsabilità che gli competono.

 

L’arte deve ferire?

 

Credo di sì. Infatti in esergo al mio libro ho citato Michel de Montaigne: “Io odio crudelmente la crudeltà”. Arte e filosofia non devono lasciarci intatti al loro passaggio. Hanno il fine di alimentare la nostra consapevolezza e scuoterci, anche con un po’ di necessaria violenza.