Autore: admin1356

AGI – Per la scienza si tratta di pigmenti artificiali, che riproducono fedelmente la struttura chimica dei lapislazzuli. L’alchimia, sconfinando nella magia, rimanda alle scie di un azzurro acceso che la Fenice lascia nel suo passaggio e che il tempo conserva. Per la massoneria è il principio della palingenesi, la morte e la resurrezione al mondo di un corpo naturale per raggiungere una dimensione più spirituale. Letture e approcci differenti, tutte accomunate da una sensazione di bellezza e di stupore, che accompagnano passo dopo passo chi entra nella Cappella Sansevero. La Pietatella, come è anche chiamata la chiesa sconsacrata di Santa Maria della Pietà, regala un’altra testimonianza della genialità e degli sconfinati studi condotti da Raimondo di Sangro, il principe inventore, esoterista, alchimista letterato e accademico il cui nome è indissolubilmente legato a Napoli e alla Cappella Sansevero, custode di capolavori del marmo come il Cristo Velato di Giuseppe Sammartino, ma anche di straordinarie e leggendarie macchine anatomiche.

 

La scoperta

Grazie al lavoro di ricerca portato avanti da un’equipe di studiosi dell’università di Bari ‘Aldo Moro’, è stato accertato che la cornice che avvolge l’altorilievo posizionato sull’altare principale della chiesa, intorno alla Deposizione di Francesco Celebrano, è fatta di un pigmento artificiale, prodotto in laboratorio, che mostra la stessa struttura della pietra dura amata dagli antichi egiziani che si trova in natura e che, all’epoca, era rarissima e più costosa dell’oro. Nel suo laboratorio, che aveva chiamato ‘appartamento della Fenice’, il principe di Sansevero aveva scoperto la ricetta per ricreare l’inconfondibile blu oltremare e lo aveva fatto intorno al 1750, oltre 70 anni prima rispetto al 1826.

È in quella la data, infatti, che fino a ora vedeva il chimico francese Jean Baptiste Guimet riuscire per la prima volta a riprodurre un blu oltremare assimilabile al colore naturale dei lapislazzuli, la cui formula volle tenere segreta. Due anni dopo, il professore di Chimica Christian Gmelin scopri’ il procedimento e ne pubblico’ la formula.

 

La ricerca condotta dal Centro interuniversitario di ricerca ‘Seminario di storia della scienzà, insieme con il dipartimento di Scienze della Terra e geoambientali dall’ateneo barese è partita da alcuni documenti che attestavano la presenza di veri lapislazzuli nella chiesa, mentre una vecchia guida turistica di Pompeo Sarnelli, vescovo di Bisceglie, si diceva che quella cornice era stata realizzata seguendo l’antica ricetta della creazione del lapislazzulo da parte del principe di Sansevero.

 

“Per distinguere il naturale dall’artificiale – spiega Gioacchino Tempesta, del dipartimento dell’ateneo di Bari – abbiamo analizzato al microscopio un piccolissimo frammento che avevamo a disposizione. Attraverso analisi approfondite, fatte in situ con strumentazioni portatili e in laboratorio, con strumenti avanzati, come microscopi elettronici, abbiamo concluso che, al momento, non esiste alcun materiale in natura che abbia questa composizione chimica”.

 

Dopo questa prima scoperta, approfittando anche delle impalcature montate nella cappella per operazioni di restauro, gli studiosi hanno successivamente analizzato altri elementi, giungendo a conclusioni altrettanto sorprendenti. Il cappello cardinalizio che si trova ai piedi della statua di Sant’Oderisio, situata in posizione laterale rispetto all’altare, contiene un pigmento di colore rossiccio, proprio del cinabro, che era stato confuso con il porfido. Cosi’ come i due cuscini sotto le statue dello stesso Sant’Oderisio e Santa Teresa, poste una di fronte all’altra, appaiono grigiastri o verdastri (il colore della fluorite), ma osservati dalla prospettiva giusta e illuminati da lampade a raggi Uv, i cristalli brillano di un bagliore blu fluorescente.

La direttrice del Museo Cappella Sansevero, Maria Alessandra Masucci, rimarca “il profilo di infaticabile sperimentatore e innovatore di Raimondo di Sangro, certificato dalle nuove testimonianze delle sue esperienze, che continuano sempre ad aggiornarsi e ad aggiungersi a quelle fatte negli anni”. E cosi’, dopo il Cristo velato, le Macchine anatomiche, il pavimento labirintico, i colori della volta rimasti intatti senza alcun restauro, l’iscrizione sulla lapide della tomba del principe, emerge la riproduzione dei preziosi pigmenti artificiali. Tanti tasselli di un grande mosaico, tante meraviglie realizzate da colui che si pone come la vera meraviglia del suo secolo per il suo sapere e il suo slancio di innovatore. 

 

Una leggenda narra che sia stata costruita su un antico tempio dedicato alla dea Iside. Un altro mito racconta che un uomo, arrestato ingiustamente, mentre veniva portato in carcere, transitando lungo uno dei muri esterni, si votò alla Santa Vergine e, improvvisamente, il muro crollò mostrando un dipinto della Madonna. Poco tempo dopo, fu riconosciuta l’innocenza dell’uomo devoto. Storie e racconti che avvolgono, come un velo, la Cappella Sansevero.

 

La storia della chiesa 

Nota come chiesa di Santa Maria della Pietà o Pietatella, fu commissionata e ideata da Raimondo di Sangro, principe di Sansevero. La costruzione è cominciata negli ultimi anni del 1500 e conclusa nel 1766, pochi anni prima della morte del principe. Dal momento in cui è stato sconsacrato, l’edificio situato nel cuore del centro storico di Napoli non è più destinato al culto, ma resta un luogo carico di simbologie, molte legate alla Massoneria, di cui il principe era Gran Maestro.

 

Il mistero che ammanta gli spazi della chiesa trova la sua perfetta raffigurazione nel velo marmoreo del Cristo velato di Giuseppe Sanmartino. Una statua scolpita a grandezza naturale, che rappresenta il Cristo morto, ricoperto da un sudario realizzato dallo stesso blocco della statua. L’aderenza perfetta alle forme del Cristo ha portato in passato a ritenere che Raimondo di Sangro avesse insegnato a Sanmartino il processo di calcificazione dei tessuti in cristalli di marmo o, addirittura, che sotto lo strato di marmo ci sia un vero cadavere.

 

Oggi campeggia al centro della cappella, ma il Cristo velato doveva essere collocato nel mausoleo sottostante, dove invece sono ospitate le Macchine anatomiche. Due modelli dell’apparato circolatorio umano realizzati nel 18esimo secolo e commissionati dal principe all’anatomista palermitano Giuseppe Salerno. La riproduzione perfetta degli scheletri di un uomo e di una donna con tutto il sistema arterioso e venoso per secoli ha alimentato la leggenda che per costruirli fossero state utilizzate delle vere vene umane, grazie all’intervento diretto del principe che avrebbe fatto bere a due servi una pozione per solidificarne il sangue.

 

Due esempi di quel magico mix tra scienza e alchimia che hanno accompagnato l’intera vita di Raimondo di Ingrossa, che è stato inventore, anatomista, militare, letterato e massone. Proprio i principi della massoneria sono alla base delle sue geniali invenzioni, che a distanza di secoli regalano ancora stupore, meraviglia e continuano a svelarsi una dopo l’altra. Il crollo del 1889 ha danneggiato il pavimento labirintico che simboleggia il percorso tortuoso che conduce alla conoscenza, sempre una sua invenzione.

 

Non si può non parlare di alchimia e di mistero osservando i colori accesi della volta della cappella, conosciuta con il nome di Gloria del Paradiso. Grazie alla formula creata dal principe, gli azzurri, i verdi e gli ori restano raggianti dopo oltre 250 anni, senza bisogno di alcun restauro. Così come l’iscrizione apposta sulla lapide marmorea dell’attuale portale laterale, che non è incisa, ma realizzata tramite un procedimento a base di solventi chimici ideato dallo stesso Raimondo di Sangro. “Un uomo straordinario predisposto a tutte le cose che osava intraprendere”, recita l’incisione.

 

La cappella di Sansevero racconta meglio di ogni altro luogo quest’uomo, per alcuni uno stregone senza Dio, per altri un genio assoluto, per la storia un uomo ‘illuminato’, capace di fondare la scienza e l’alchimia per generare meraviglia.