Autore: admin1356

AGI – Una corretta igiene delle mani salva ogni anno milioni di vite: tutti i microrganismi responsabili di malattie infettive sono potenzialmente trasmissibili con le mani, che possono costituire un mezzo di trasmissione per virus, batteri e protozoi. In tal senso, il Covid-19 ha dimostrato quanto la scarsa igiene delle mani sia un importante veicolo di trasmissione dei germi. Tuttavia, con il decrescere delle preoccupazioni legate alla pandemia è calata anche l’attenzione degli italiani verso le buone pratiche apprese durante il periodo di emergenza sanitaria.

È quanto emerge da una ricerca che ha coinvolto 800 persone svolta dall’Osservatorio Opinion Leader 4 Future, il progetto sull’informazione consapevole nato dalla collaborazione tra Gruppo Credem e l’Alta Scuola in Media Comunicazione e Spettacolo (ALMED) dell’università Cattolica, e condotta grazie al lavoro dei ricercatori dell’Università Cattolica e dell’istituto Bilendi, in collaborazione con gli specialisti della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS di Roma.

In occasione della Giornata mondiale di sensibilizzazione sull’igiene delle mani promossa dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), l’Osservatorio Opinion Leader 4 Future presenterà martedì 7 maggio alle ore 10 i risultati dell’indagine sulla consapevolezza dell’importanza dell’igiene mani in un evento scientifico aperto al pubblico presso il Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS, ad un anno dalla prima rilevazione.

Cala l’attenzione degli italiani verso l’igiene delle mani: solo un italiano su due (54%) dichiara che lavarsi le mani è divenuto più importante con la pandemia (-9 punti percentuali a/a) ed il 45% degli intervistati afferma di lavarle più frequentemente contro il 55% dello scorso anno. Dall’indagine condotta dai ricercatori dell’Università Cattolica e dell’istituto Bilendi, in collaborazione con gli specialisti della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS di Roma, emergono ulteriori segnali della flessione del grado di attenzione su questi temi. In particolare, il 22% degli intervistati dichiara di aver ridotto il lavaggio delle mani. Il sapone è utilizzato dal 97% degli intervistati (-2 punti percentuali a/a), con una maggiore diffusione del sapone liquido (87%) rispetto alla classica saponetta (32%). L’utilizzo di gel e salviette risulta meno frequente: il 25% degli intervistati usa gel igienizzante (-4 punti percentuali rispetto allo scorso anno) e il 7% le salviette.

Il 16% delle persone è a conoscenza dell’esistenza di una giornata mondiale dedicata all’igiene mani, dato incoraggiante se confrontato con il 13% registrato lo scorso anno. Altrettanto positivo è il dato sulla consapevolezza legata all’igiene respiratoria (il 77% della popolazione è a conoscenza del fatto che la corretta etichetta per l’igiene respiratoria consiste nel tossire nella piega del gomito) e all’igiene del cellulare. Il 65% della popolazione lo identifica infatti come potenziale veicolo di germi, contro il 63% precedente. A fronte di queste evidenze, però, solo il 37% dichiara di disinfettare lo smartphone con prodotti specifici, di cui il 25% almeno una volta al giorno.

Permangono le differenze legate al genere e all’età. Più in dettaglio, le donne si lavano le mani più spesso degli uomini, con una media di 7,1 volte al giorno rispetto alle 6,3 degli uomini. Inoltre, gli over 65 tendono a lavarsi le mani meno frequentemente rispetto ai più giovani, con una media di 6,2 volte al giorno contro il 7,14 della fascia d’età compresa tra i 45 e i 64 anni. “Il calo dell’attenzione verso l’igiene delle mani è un preoccupante segnale di ‘stanchezza’ verso misure sostenibili di comprovata efficacia per la prevenzione delle infezioni dovute a pericolosi microrganismi antibiotico-resistenti in grado di mettere a serio rischio la salute delle persone più fragili.

Ma è proprio questo il valore delle misurazioni condotte con metodi rigorosi e riproducibili: continuare a misurare ci consente di cogliere tempestivamente segnali di calo dell’attenzione da presidiare con interventi mirati, continuativi, sostenibili e credibili perché tarati sui reali bisogni (di conoscenze, di refresh della motivazione e altro) da presidiare con azioni di miglioramento continuo che i dati evidenziano, poiché diventano informazioni utili ad orientare decisioni di best practice”, ha dichiarato Patrizia Laurenti, Professoressa Associata di Igiene generale e applicata all’Università Cattolica, campus di Roma, e Direttrice UOC Igiene Ospedaliera Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS.

“La prevenzione è senza dubbio uno degli strumenti più importanti per poter mantenere uno stato di salute sano e favorire il benessere individuale e collettivo”, ha dichiarato Luigi Ianesi, Responsabile relazioni esterne di Credem. “L’iniziativa dell’Osservatorio Opinion 4 Future rappresenta per Credem un’opportunità per creare consapevolezza, a partire dai nostri colleghi, su temi che hanno un elevato impatto sulla vita di tutti e a cui spesso non destiniamo una giusta considerazione”, continua Ianesi. “Siamo certi che attraverso la buona informazione si possano sensibilizzare le persone ad attuare e a stimolare negli altri il rispetto di quelle pratiche, anche semplici come l’igiene delle mani, in grado di salvare vite e avere un impatto concreto sulla società”, ha concluso Ianesi. 

AGI – Contrastare il cancro attraverso cellule artificiali in grado di individuare la patologia e di curarla. È il duplice obiettivo al quale lavora una squadra di ricerca del Dipartimento di Biologia cellulare, computazionale e integrata – Cibio, che ha recentemente vinto due progetti europei finanziati da Horizon Europe EIC Pathfinder Open. Entrambi gli studi sono coordinati da Martin Hanczyc, professore di Biochimica, responsabile del laboratorio di biologia artificiale del Dip. Cibio, e vedono la partecipazione di altre istituzioni accademiche e di partner industriali europei. Nel laboratorio del professor Hanczyc già da tempo si lavora allo sviluppo di nuove tecnologie cellulari sintetiche e di materiali bio-ispirati.

Esperienza che ora diventa lo strumento cardine per portare avanti i due progetti. Il principio è lo stesso per entrambi gli studi: inserire nelle cellule artificiali determinati elementi che vadano a colpire, in maniera mirata, quelle dell’organismo umano malate. Il finanziamento europeo complessivo ammonta a 6,5 milioni di euro. Il gruppo di ricerca è per ora formato da Silvia Holler (assegnista di ricerca post doc), Luca Tiberi (che dirige il laboratorio dei disturbi cerebrali e cancro), e Vito D’Agostino (responsabile del laboratorio di biotecnologia e nanomedicina) e sarà ampliato nei prossimi mesi. Il primo progetto si chiama Bio-HhOST (Bio-hybrid Hierarchical organoid-synthetic tissue).

Lo scopo è di costruire tessuti bio-ibridi, all’interno dei quali cellule artificiali interagiscano con quelle naturali cancerogene, cambiando il loro destino, influenzandone la funzione, la proliferazione e la differenziazione. Quelli con cui le cellule artificiali andranno a interagire sono organoidi, aggregati tridimensionali di cellule utilizzati nel mondo della ricerca per riprodurre tessuti e organi umani miniaturizzati e semplificati, creati a partire da cellule staminali.

Queste cellule artificiali conterranno elementi specifici, come per esempio fattori di crescita o farmaci antitumorali capaci di rispondere agli stimoli chimici dell’ambiente e di agire in maniera mirata soltanto sulle cellule viventi tumorali.

Il fine è fermarne la crescita e sconfiggerle. Questi nuovi materiali, chimicamente programmabili, consentiranno di ridurre l’uso di animali negli studi scientifici e di sostenere lo sviluppo e lo studio di medicinali su sistemi più simili agli esseri umani. Il lavoro sarà svolto da un team interdisciplinare con competenze in biologia, bioingegneria, microfluidica, matematica, programmazione informatica, e comprende, oltre all’Università di Trento, quella di Cardiff e quella di Scienze applicate di Zurigo, e all’azienda MIC di Parigi. Il nome del secondo progetto è OMICSENS. In questo caso si lavora per costruire il primo sensore biomolecolare nano-fotonico integrato.

Uno strumento che potrebbe rivoluzionare i tempi di diagnosi e la prognosi del tumore ai polmoni. Nello specifico del “non-small cell lung cancer”, un particolare tipo di carcinoma polmonare, aggressivo e difficile sia da individuare che da trattare. All’interno del sensore viene posizionato un microchip dove il medico versa alcune gocce di sangue, un campione di tessuto o delle vescicole extracellulari del paziente. Questo materiale interagisce con particelle artificiali che si legano con le cellule tumorali eventualmente presenti.

A questo punto un detector, ossia un rivelatore realizzato con metamateriali sintetici, grazie ad algoritmi di intelligenza artificiale, analizza le reazioni chimiche sul campione. Tramite il biosensore il medico sarà in grado di verificare con rapidità se è presente il tumore e iniziare tempestivamente la terapia.

Il chip è pianificato per essere pronto all’uso e riutilizzabile. L’intenzione è quella di sfruttarlo in futuro anche per il trattamento di altri tipi di neoplasie. In questo caso i partner accademici del progetto sono l’Istituto di Bioingegneria della Catalogna, l’Università Ludwig Maximilian di Monaco, l’Istituto Reale di Tecnologia di Stoccolma e alcune aziende europee (Multiwave Imaging, 4K-MEMS SA e Quaisr). Le competenze dei partner accademici e industriali di questo progetto comprendono oncologia, bioingegneria, microfluidica, biochimica, sistemi microelettromeccanici, nano-fotonica, fisica computazionale e intelligenza artificiale. 

AGI – Un nuovo vaccino, che incoraggia il sistema immunitario a colpire una porzione della superficie del virus che è meno variabile, si promette una valida copertura antinfluenzale, con una protezione più ampia e a una minore dipendenza da un’iniezione annuale personalizzata per le versioni del virus di quell’anno.

A svilupparlo i ricercatori della Duke University. Il loro approccio, descritto sulla rivista Science Translational Medicine, si è dimostrato efficace in esperimenti su topi e furetti. Anche con i vaccini, l’influenza uccide circa mezzo milione di persone ogni anno nel mondo. Il nuovo approccio vaccinale, fa parte di uno sforzo di 5 anni per sviluppare un vaccino antinfluenzale universale più duraturo che sia in grado di sventare tutte le versioni del virus.

I ceppi influenzali sono indicati con un codice abbreviato, ad esempio H5N1, che descrive i gusti di due particolari proteine di superficie. La H, o a volte HA, è l’emoagglutinina, una proteina a forma di lecca-lecca che si lega a un recettore sulla cellula umana, il primo passo per far entrare il virus nella cellula.

La N è la neuraminidasi, una seconda proteina che permette al virus appena creato di sfuggire alla cellula ospite e di infettare altre cellule. “Sulla particella del virus c’è da cinque a dieci volte più emoagglutinina che neuraminidasi”, ha detto Nicholas Heaton, professore associato di genetica molecolare e microbiologia alla Duke, che ha guidato la ricerca.

“Se prendessimo il vostro sangue per vedere se avete la probabilità di essere protetti da un ceppo influenzale, misureremmo gli anticorpi contro l’emoagglutinina come migliore parametro di ciò che vi accadrà”, ha spiegato Heaton. “I più forti correlati della protezione hanno a che fare con l’immunità diretta all’emoagglutinina”, ha aggiunto Heaton.

I vaccini insegnano al sistema immunitario a reagire a parti del virus che sono state specificamente adattate alle versioni dell’influenza che si prevede saranno le più minacciose nella prossima stagione influenzale.

“Il motivo per cui abbiamo bisogno di un nuovo vaccino antinfluenzale ogni autunno non è perché il vaccino si esaurisce, ma perché il virus dell’influenza cambia continuamente le proteine di superficie a cui i vaccini si rivolgono”, ha evidenziato Heaton. I vaccini antinfluenzali e i sistemi immunitari tendono a colpire la “testa” dell’emoagglutinina, simile a un bulbo, piuttosto che il gambo. Ma, anche i dettagli di questa regione della testa cambiano costantemente, creando una corsa agli armamenti tra la progettazione del vaccino e i virus. Il gambo, in confronto, cambia molto meno.

“Diversi gruppi hanno analizzato e mutagenizzato sperimentalmente l’intera emoagglutinina e si sono chiestinquali aree cambiare per permettere comunque all’emoagglutinina di funzionare”, ha osservato Heaton. “E la risposta è che non si può cambiare il gambo e aspettarsi che continui a funzionare”, ha sottolineato Heaton.

La squadra della Duke ha quindi cercato di progettare proteine che suscitassero una risposta immunitaria più mirata al peduncolo. “Il virus si è evoluto in modo che il sistema immunitario riconosca queste caratteristiche della regione della testa”, ha specificato Heaton. “Ma – ha proseguito Heaton – queste sono le forme che il virus può cambiare”. “Si tratta di una strategia insidiosa”, ha sottolineato Heaton.

Utilizzando l’editing genico, i ricercatori hanno creato più di 80.000 variazioni della proteina emoagglutinina con cambiamenti in una porzione proprio sulla parte superiore del dominio della testa e poi hanno testato un vaccino riempito con una miscela di queste variazioni su topi e furetti.

A causa dell’ampia varietà di conformazioni della testa presentate al sistema immunitario e della relativa consistenza dei gambi, questi vaccini hanno prodotto più anticorpi contro la porzione del gambo dell’emoagglutinina. “L’opportunità per il sistema immunitario di vedere quella porzione di testa più e più volte come si deve è compromessa perché c’è diversità”, ha notato Heaton.

Nei test di laboratorio e negli animali, il vaccino sperimentale ha fatto sì che il sistema immunitario rispondesse con maggiore forza alle regioni del gambo, perché queste rimanevano coerenti.

Ciò ha aumentato la risposta immunitaria al vaccino nel suo complesso e, in alcuni casi, ha persino migliorato la risposta anticorpale alla regione della testa della proteina. “Gli anticorpi contro il peduncolo funzionano in modo diverso”, ha precisato Heaton. “Il loro meccanismo di protezione non è necessariamente quello di bloccare la prima fase dell’infezione; quindi la nostra idea è stata quella di creare un vaccino che fornisca entrambe le cose”, ha sostenuto Heaton.

“Volevamo vedere se potevamo ottenere buoni anticorpi per la testa e allo stesso tempo anche anticorpi per il peduncolo, nel caso in cui la selezione del vaccino fosse sbagliata o se ci fosse una pandemia”, ha aggiunto Heaton. “In sostanza, il documento dice: “Sì, possiamo farlo””, ha concluso Heaton. Dopo la somministrazione di un vaccino altamente variante in alcuni esperimenti, il 100% dei topi ha evitato la malattia o la morte a causa di quella che avrebbe dovuto essere una dose letale di virus influenzale.

Le prossime fasi della ricerca cercheranno di capire se lo stesso livello di immunità può essere raggiunto presentando meno di 80.000 varianti di emoagglutinina.