AGI – Il primo sacerdote dell’Opus Dei in Italia che portò il cinema in Vaticano: è stato questo e tanto altro Monsignor Francesco Angelicchio, di cui il nipote giornalista di esteri de La7 Fabio Angelicchio racconta la vita in un bel libro appena pubblicato da Mursia. Dopo gli studi di legge che lo dovevano proiettare a una carriera di avvocato, scelse l’abito talare ma restando sempre aperto alla società e in particolare al mondo del grande schermo grazie alle amicizie con registi come Federico Fellini, Roberto Rossellini, Pier Paolo Pasolini e Liliana Cavani, e con decine di attori.
Giovanni XXIII lo incaricò di istituire il Centro cattolico cinematografico e fu lui a scegliere i film da far vedere a Paolo VI iniziandolo al cinema neorealista e convincendolo a ricevere anche gli artisti con legami sentimentali irregolari, da Gina Lollobrigida a Claudia Cardinale. Già da Arcivescovo di Milano, Montini, il futuro Papa, si avvaleva di lui come esperto di spettacolo al punto di chiedergli di intervenire per spostare una puntata di ‘Lascia o Raddoppia’ in tv perchè coincideva con la Pasqua.
“Il primo italiano dell’Opus Dei. Monsignor Francesco Angelicchio” (252 pagine, 18 euro) è un vivido ritratto di questo sacerdote nato a Monterotondo, alle porte di Roma, da una famiglia modesta, con il papà maresciallo dei carabinieri. Il nipote ha attinto ai propri ricordi e ai documenti della Pontificia Università della Santa Croce per raccontarlo. Angelicchio durante gli anni della guerra aveva combattuto sul fronte jugoslavo: da parà della Folgore, scampò all’eccidio delle Fosse Ardeatine. Dopo aver conseguito la maturità, si iscrisse all’università e per mantenersi agli studi lavorò come clacchista al teatro Eliseo di Roma con l’amico Alberto Sordi e Paolo Panelli.
Entrato in contatto con l’Opus Dei, l’istituzione cattolica fondata in Spagna da Josemaria Escrivà de Balaguer, il giovane avvocato lascia la toga e chiede l’ammissione alla prelatura diventando il primo ‘numerario’ italiano dell’Opera o, come lo chiamò Escrivà, “il mio primogenito italiano”. Il libro è anche una storia ‘italiana’ dell’Opera in cui Angelicchio fu responsabile della formazione dei nuovi membri e ricoprì diversi incarichi di governo.
In Vaticano, Angelicchio collaborò con la Segreteria di Stato e divenne Direttore dell’Ufficio Comunicazioni Sociali della Cei e responsabile del Centro Cattolico Cinematografico, incarico grazie al quale allargò le sue amicizie nel mondo dello spettacolo. Tra i tanti aneddoti del libro c’è anche l’intervento con cui convinse (il laicissimo) Pasolini a riscrivere parte della sceneggiatura del ‘Vangelo Secondo Matteo’ perchè non c’erano i miracoli.
Angelicchio è stato anche un attivo pastore fino alla sua morte nel 2009, all’età di 88 anni. Come lo ricorda il nipote, seppe ascoltare la sua vocazione “senza esitazioni, lasciandoci in eredità l’esempio di una vita umile, serena e generosa, sempre accompagnata dal sorriso, dalla saggezza e dal buon umore”.