Browsing: Salute e Benessere

AGI – 
Le reti generative sono in grado di imparare e di gestire enormi quantità di dati, finendo per divenire delle «scatole nere» che forniscono risposte senza spiegare come: L’Intelligenza Artificiale e i suoi fantasmi di Stefano Moriggi e Mario Pireddu (Il Margine) si propone di aprire queste scatole per indagarne il funzionamento, decostruendo i pregiudizi e le ideologie che vi aleggiano intorno. 

 

Nei quattro capitoli che compongono il breve saggio in uscita il prossimo 24 maggio, Moriggi e Pireddu ripercorrono la storia che conduce alle attuali reti generative – fatta di idee, scoperte, illusioni, primavere e inverni della ricerca, da Giordano Bruno a Pac-Man – illustrando in modo accessibile e rigoroso le logiche e gli utilizzi concreti degli strumenti che sempre più si utilizzano e si utilizzeranno per produrre contenuti di ogni tipo (testuali, iconografici, multimediali.). 

Attraverso un inquadramento teorico, gli autori mirano a far comprendere meglio l’IA e le sue ricadute reali nella quotidianità, alla ricerca di una perfetta sintesi tra timori e speranze relativi alla presenza sempre più pervasiva di queste tecnologie nel nostro vissuto. Obiettivo degli autori è, infatti, da un lato raffreddare i facili entusiasmi di chi crede in un futuro roseo in mano alle macchine, dall’altro, spegnere sul nascere i timori dei tecnoscettici. 

 

Le reti generative, rappresentano infatti una svolta radicale: creano contenuti originali e sfidano la tradizionale distinzione tra ideazione umana e produzione tecnologica, sollevando interrogativi sul confine che delimiterebbe (e tutelerebbe?) l’opera di una intelligenza umana da quella di una intelligenza «artificiale»: sfidare i fantasmi che aleggiano attorno all’IA significa dunque confrontarsi con noi stessi e con i nostri pregiudizi sulla tecnologia, ma ancor prima sui valori entro i cui confini continuiamo a custodire la specie umana come una reliquia.

 

Ma fare i conti con i fantasmi significa anche (e, forse, soprattutto) imparare a vedere nelle tecnologie – e nelle paure che generano – il riflesso di un’umanità timorosa di navigare in un mare sconosciuto e al contempo cosciente del fatto che – come avrebbe detto Giordano Bruno – a una nuova visione del mondo deve per forza corrispondere una nuova visione dell’uomo. Imparare a (con)vivere con le reti generative è il dovere di chi – da concreto umanista – cerca categorie e tattiche che lo aiutino a studiare la storia di quel futuro ignoto e incerto che ci attende. 

AGI – “Sono molto sereno”. L’ha detto il rapper Fedez entrando a piazzale Clodio, in tribunale a Roma, dove è stato sentito, nel corso dell’udienza del procedimento, davanti al gup di Roma, nel quale è imputato per l’accusa di calunnia ai danni del Codacons. Federico Lucia si è difeso per circa un’ora e mezza.

AGI – Strage sul lavoro in provincia di Palermo. Cinque operai morti. Tutto è successo intorno alle ore 14 di oggi: diverse squadre di vigili del fuoco sono intervenute a Casteldaccia, in via Nazionale, presso un impianto di sollevamento di acqua reflue della ditta Amato, per il soccorso di alcuni operai di una ditta esterna che durante alcuni lavori di manutenzione sono stati colti da malore all’interno della vasca di depurazione di acque reflue.

 

Sul posto sono intervenute 2 squadre dei pompieri dai distaccamenti di Brancaccio e Termini Imerese con il supporto della squadra Saf (speleo alpino fluviale) , dei Sommozzatori e del Nucleo Nncr (nucleare batteriologico, chimico e radilogico). Sono stati recuperati 7 operai (di questi 5 privi di vita il cui decesso è stato costatato dal personale medico presente sul posto) un operaio trasportato in ospedale e un operaio illeso. Le operazioni si sono appena concluse. Sul posto sono presenti inoltre i tecnici Spresal per le indagini di competenza e personale della Polizia di Stato.

 

 

“Non è ancora chiaro per quale motivo gli operai fossero dentro la vasca”, ha spiegato all’AGI Antonio Bertucci dei Vigili del fuoco. Si tratta di un impianto di sollevamento di acqua reflue dell’Amap, che si occupa della rete fognaria nel palermitano: gli operai erano alle dipendenze dell’Amap e di una ditta esterna e sono stati colti da malore all’interno della vasca di depurazione di acque reflue. “Le analisi sull’operaio trasferito in ospedale – ha continuato Bertucci – faranno probabilmente capire quali sono state le cause dell’intossicazione. Quando sono in gioco le acque reflue, vi possono essere diversi elementi, dal metano all’idrogeno solforato”.

AGI –  “Credo che continuare a parlare di fuga sia irrispettoso nei confronti dei medici che continuano a scegliere di andare a svolgere la loro professione all’estero. È invece una decisione ponderata, dettata da migliori condizioni economiche, di progressione della carriera e di sicurezza sui luoghi di lavoro. È una tristissima realtà con cui l’Italia e le sue istituzioni devono fare conto”. Lo dichiara Gianluca Giuliano, segretario nazionale della Ugl Salute. “Secondo una recente proiezione – prosegue il sindacalista – al termine del 2024 saranno circa 20.000 i medici che potrebbero scegliere di andare all’estero.

Per gli emolumenti siamo di fronte a una legge di mercato. L’Italia è, in Europa, al terz’ultimo posto in questa voce e precede solo Portogallo e Grecia. Ma pensare che sia solo un problema di soldi sarebbe delittuoso. Al di fuori dei nostri confini la possibilità di progressione in carriera è uno sviluppo normale della professione e negli ospedali delle altre nazioni le condizioni di lavoro sono assolutamente migliori.Se da noi lo stillicidio di notizie riguardanti aggressioni al personale sanitario è quotidiano non è cosi’ all’estero dove le condizioni di sicurezza sono altissime e il rischio di burnout estremamente ridotto. Giriamo il grido d’allarme al ministro della Salute Schillaci che sta impegnandosi a fondo per provare da rivoluzionare il Ssn italiano. Bisogna intervenire, e con la massima urgenza, su emolumenti, carriera e sicurezza. O presto l’Italia sarà una nazione senza medici”.

AGI –  Nei programmi scolastici “c’è troppa roba”. Lo ha detto il ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, intervistato a Futuro Direzione Nord. “In terza elementare si vanno a spiegare tutte le specie dei dinosauri; tutto questo a che serve? E poi non conosciamo le esperienze più importanti del nostro passato che ci hanno dato i grandi valori dell’Occidente. Bisogna semplificare e far prevalere la quantità sulla quantità”.

 

“Il cellulare no. Non concepisco una didattica fatta sul cellulare che ha effetti molto negativi sul bambino, sulla sua concentrazione, creatività e ci sono tanti studi su questo” – ha aggiunto il titolare di Viale Trastevere –  “Il web è un grande oceano dove alla fine ci si perde. Bisogna certamente ritornare all’importanza del libro, della scrittura, poi dopo c’è il tablet, è importante”

AGI – Il 15 maggio, a Palazzo Borromeo, sede dell’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede, si terrà la prima edizione di Rome Summit, un forum economico promosso dai giovani dell’Ucid (Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti). L’incontro, al quale hanno aderito i presidenti delle organizzazioni giovanili delle otto maggiori associazioni di categoria italiane, sarà l’occasione per esprimere una visione dell’impresa valida per gli anni a venire e una serie di proposte concrete per inverarla. “Siamo in campo con le nostre proposte per un’economia più giusta. L’obiettivo del Rome Summit è favorire il dialogo fra imprese, Chiesa e istituzioni”, sottolinea Benedetto Delle Site, presidente del Movimento Giovani dell’Ucid.

Ad aprire i lavori del Rome Summit, alle 16:30, il Segretario di Stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin che terrà una lectio. Interverranno il presidente della Camera Lorenzo Fontana e il vicepresidente del Consiglio e ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale Antonio Tajani. Il luogo scelto per la prima edizione di Rome Summit, che avrà un focus sulle nuove generazioni, alla collaborazione fra imprese, Chiesa e istituzioni, non è casuale: “Ringraziamo l’Ambasciata d’Italia e l’Ambasciatore Di Nitto per averci dato la possibilità di avviare, in un luogo ricco di significato per il nostro Paese e per la Santa Sede, un dialogo che intende partire dal cuore della Chiesa, madre e maestra e che si dirige ai vertici delle istituzioni, Parlamento e Governo, perché oggi il magistero sociale della Chiesa ha tanto da offrire e il Santo Padre e’ forse l’unico vero leader internazionale capace ancora di interrogare e stimolare le nuove generazioni. L’imprenditoria cattolica puo’ dare un contributo importante, ma dobbiamo agire con concretezza”, spiega Delle Site.

“Il Rome Summit nasce per dare vita a un nuovo forum economico, un appuntamento periodico che abbia Roma come sede non solo territoriale ma soprattutto morale” continua il presidente dei giovani dell’Ucid, che poi si sofferma sugli obiettivi dell’appuntamento. “I giovani imprenditori – dice – sono in grado di scendere in campo con proposte vere, concrete, che nascono dall’esperienza tipica di chi si trova a gestire un’azienda e a rappresentarne altre migliaia attraverso le organizzazioni di rappresentanza d’impresa che hanno accettato il nostro invito”. Tante – e molto rappresentative – le associazioni di impresa che si renderanno presenti attraverso i propri rappresentanti under 40: Confindustria con il presidente dei Giovani Imprenditori Riccardo Di Stefano, Ance con la presidente Angelica Donati, Confartigianato con il presidente Davide Peli, Confcooperative con il nuovo presidente Andrea Sangiorgi, Federmanager con il coordinatore Antonio Ieraci, Confagricoltura con il presidente Giovanni Gioia, Confapi con il presidente Eustachio Papapietro, Coldiretti con il delegato Giovani Impresa Enrico Parisi.

“Le proposte che presenteremo mettono a terra la dottrina sociale della Chiesa e toccano i temi della nuova imprenditorialità, da promuovere e sostenere, della sostenibilità, delle nuove tecnologie e soprattutto la drammatica crisi demografica in atto, che ci preoccupa sia da cittadini, sia da imprenditori. Indirizziamo il nostro appello ai decisori pubblici di ogni livello di governo e vogliamo essere ascoltati” sottolinea Delle Site. L’iniziativa vuole anche essere una declinazione particolare di The Economy of Francesco, il movimento sorto con l’appello del Papa ai giovani affinche’ si impegnino a gettare le basi di una nuova economia. Al termine degli interventi dei relatori, verrà condiviso il “Manifesto per l’impresa etica”, un documento che racchiude i principi cardine degli insegnamenti cristiani sull’attività imprenditoriale. 

AGI – Oggi “implementiamo le risorse economiche degli imprenditori di pesca e creiamo un fondo a disposizione del commissario per garantire tutti gli interventi a sostegno dei nostri imprenditori”, alle prese con la diffusione del granchio blu. L’ha dichiarato il ministro dell’agricoltura, e della sovranità alimentare e delle foreste, Francesco Lollobrigida, intervenuto in collegamento a ‘Futuro direzione nord’, parlando di uno degli argomenti al centro della riunione del Consiglio dei ministri di oggi, il decreto agricoltura che prevede misure anche per l’emergenza granchio blu.

 

“L’anno scorso c’è stata un’abbondanza di granchio blu, la situazione è emergenziale in questo momento”, ha ammesso il ministro, spiegando che il governo è intervenuto “con il sostegno agli imprenditori” per fornirgli “strumenti per contrastare il granchio blu e per cercare di commercializzare questo prodotto che ha un valore particolarmente elevato specie in alcune nazioni come gli Usa e i mercati ricchi”.

 

“Detto questo, l’intervento deve essere più ampio”, ha sottolineato Lollobrigida, spiegando che riguarda non solo il nostro Paese. “Abbiamo chiesto il coinvolgimento dell’Europa perché la questione riguarda tutto il Mediterraneo e può colpire la Grecia, l’Albania”; ecco perché “abbiamo chiesto una strategia europea”. E allo stesso tempo “ci attiviamo con un intervento commissariale”, questo perché “Il commissario può intervenire con azioni per risolvere il problema più rapidamente. Non ci vogliono pochi giorni perché il ritardo è decennale”. 

AGI – Nessuno lo ha cercato, finora. E nemmeno chi l’ha trovato col corpo per metà dentro il cassonetto degli abiti usati sa chi cercare per avvertire che è morto un familiare, un amico. Non aveva con sé nessun documento utile a dargli un’identità l’uomo che poco prima delle otto di stamattina è sbucato dal contenitore giallo a Canonica d’Adda lasciando ammutoliti gli operai che lavorano in via dell’Artigianato e hanno chiamato subito i vani soccorsi. I tratti del viso fanno pensare che potesse essere originario di un Paese nordafricano.

 

Un volto e un corpo giovani, in apparenza potrebbe avere avuto sui trent’anni. Dovrebbe essere arrivato a piedi, non sono stati trovati né un’auto né una bici vicino. Rimanere soffocati in un contenitore tendendo una mano per prendere o lasciare dei vestiti sembrerebbe essere una morte statisticamente assurda. E invece a pochi chilometri il 19 maggio del 2020 un bambino di 10 anni, Karim Bamba, se n’era andato allo stesso modo. Era uno dei cinque figli di una famiglia di Boltiere, papà della Costa d’Avorio e mamma italiana, seguita dai servizi sociali per gravi difficoltà economiche.

 

L’uomo che ha avuto lo stesso destino indossava abiti dignitosi, dice chi lo ha visto, ed è rimasto soffocato probabilmente nella notte tra domenica e oggi. Gli sono state prese le impronte e il corpo è stato portato all’ospedale Papa Giovanni in attesa dell’autopsia. Saranno visionate le immagini delle telecamere che restituiranno la scena. Non ci sono indagini particolari da fare ma c’è da restituire la storia di un uomo. 

AGI – Da quando si era accorto che in un concerto gli avevano posizionato alle spalle un altro direttore al quale gli orchestrali guardavano perché altrimenti non capivano il suo gesticolare, Ludwig van Beethoven viveva con patimento l’esecuzione delle sue musiche che lui non poteva sentire perché totalmente sordo. Quando aveva diretto la prima di Fidelio era stato un disastro. Il 7 maggio 1824, due secoli fa, dopo dodici anni Beethoven era salito sul palco per la prima della sua Sinfonia n. 9 op. 125, anche se la direzione era del maestro di cappella Michael Umlauf. Alla fine del quarto movimento, dopo aver posato la bacchetta sul podio sopra all’ultima pagina della partitura, era stato lui a prendere per le spalle il compositore e a voltarlo verso il pubblico che lo sommergeva di applausi che poteva vedere ma non ascoltare; e allora quello stesso pubblico che assiepava il Teatro di Porta Carinzia a Vienna cominciò a sventolare i fazzoletti. Secondo altri fu il contralto Caroline Unger a far girare il compositore verso la platea, ma questo dettaglio nulla aggiunge e nulla toglie a quella data e a quell’evento: Beethoven aveva consegnato all’umanità un capolavoro assoluto, non solo il suo capolavoro.

La genesi di un capolavoro

L’aveva meditato dall’età di 23 anni dentro la sua mente, dove la composizione era stata elaborata e assemblata con un’astrazione totale e infine consegnata allo spartito, senza aver mai potuto percepire una sola nota o un solo timbro o un solo impasto sonoro. Anche quella sera, sul palco, era riuscito appena a cogliere qualche vibrazione del registro basso e delle percussioni, ma né le singole parti né le armonie e i contrappunti potevano superare la barriera fisica che un destino particolarmente spietato aveva messo tra lui e la musica che era la sua ragione di vita. Beethoven non è stato un genio perché sordo, il che sarebbe già straordinario, ma è un genio anche grazie alla sordità che lo costringeva a “sentire” quello che non poteva udire.

 

La Nona sinfonia è nell’Olimpo del repertorio di tutti i tempi, maturazione totale e inarrivata del ciclo sinfonico. L’ultimo movimento dura tanto quanto l’intera prima sinfonia, di 24 anni anteriore, che aveva gettato sconcerto tra il pubblico e tra i critici perché per la prima volta iniziava con un accordo dissonante. I più malevoli la presero per stramberia, non cogliendone la forza anticipatrice, così come molti consideravano errori imputati alla sordità quelle innovazioni armoniche e strutturali che invece anticipavano la nuova musica, portata dal classicismo verso il romanticismo, con contenuti che si distaccavano per originalità a un’età definita sbrigativamente come quella di “Haydn, Mozart e Beethoven”.

 

Giunto al vertice del suo percorso artistico-espressivo, l’orchestra sinfonica non gli bastava più e la integrò col coro e con i solisti per rilanciare i versi di Friedrich Schiller dell’Inno alla gioia, introdotti in partitura da un pensiero di Beethoven in appena undici toccanti parole. La Nona sinfonia in re minore è nota come “Corale”, dal quarto movimento, con un tema apparentemente semplice che procede per gradi congiunti, di bellezza cristallina e sublime profondità anche a prescindere dal significato delle parole di Schiller. Ma tutto, in questa opera, rivela la lunghissima gestazione che l’ha originata. Lo stesso spartito lo denota, perché contrariamente alla prassi compositiva beethoveniana le cancellazioni, le correzioni, i rimandi e i cambi sono pochissimi.

Due modi per essere un genio

Il genio di Bonn si esprimeva in maniera del tutto dissimile da quello di Salisburgo: Wolfgang Amadé Mozart scriveva infatti di getto dalla prima all’ultima nota quello che aveva già integralmente composto nella sua testa. Beethoven, dunque, più cerebrale e meno spontaneo? Niente affatto. È vero invece che una sinfonia di Mozart si può cantare dall’inizio alla fine, mentre una di Beethoven no, ma proprio perché il linguaggio è un altro e dietro c’è ben altro. Mozart con la musica si staccava dalla vita vissuta, accantonando difficoltà, umiliazioni, crisi, angosce; Beethoven con la musica dalla vita attingeva, ne distillava gli umori, le dava voce e sentimento, ne esprimeva le lacerazioni. E poi il tedesco, rispetto all’austriaco, era più consapevole di essere un genio, tanto da permettersi di disprezzare l’aristocrazia che lo scansava nonostante la fama e il “van” fiammingo nel cognome, e spremendo disinvoltamente conti, duchi e principi per dedicare loro composizioni nella consapevolezza che sarebbero stati ricordati solo tramite lui e solo per questo. Si faceva pagare per aggiungere un nome in partitura, e non avrebbe mai sopportato le umiliazioni inferte a Mozart.

Sregolatezza e leggende

Lui, il misantropo degli affetti e degli amori negati, l’uomo che nuotava nell’arte dei suoni senza potersi immergere in quel mare dominato da un solo senso, lo zio che voleva plagiare il nipote Karl equivocando il concetto di bene, era l’artista sregolato che quando una casa da lui abitata sprofondava nel disordine e nell’incuria semplicemente la cambiava: in 35 anni furono ben 32, e alcune le aveva affittate in contemporanea. Si racconta che la casa viennese dove si spense a 57 anni il 26 marzo 1827 venne letteralmente saccheggiata e gli infissi divelti dai cacciatori di ricordi e di reliquie, perché Beethoven prendeva appunti dove capitava, anche sugli stipiti, in quel suo caos organizzato al quale non riusciva a dare ordine, contrariamente a quello che componeva. Leggenda vuole che sugli assi di legno fossero state scritte le note della sua Decima sinfonia. Un’altra leggenda vuole che superare il fatidico numero 9 nella produzione sinfonica, dopo la Nona di Beethoven, fosse di cattivo auspicio. Antonín Dvorak completò il suo ciclo con la Nona, la celeberrima “Dal nuovo mondo”, e si fermò; Gustav Mahler abbozzò la Decima e non ebbe il tempo di terminarla perché passò a miglior vita; Dmitrij Šostakovič invece ne scrisse quindici senza farsi alcuno scrupolo.

Messaggio universale

Se un giorno nello spazio sarà lanciata una navicella per stabilire un contatto con una civiltà aliena, e a quella navicella intergalattica si dovesse consegnare una summa della civiltà umana, accanto alla Commedia di Dante e alla Gioconda di Leonardo non potrà mancare la Nona di Beethoven. Che tutti conoscono, per averla magari ascoltata in brevissimi frammenti negli spot, per l’inno dell’Unione europea, al cinema e in tv, dalle suonerie dei telefonini, dal web o alla radio. Una storia iniziata due secoli fa e mai interrotta lungo le strade del mondo, che ha affrontato e raccontato i valori universali dell’uomo e dell’umanità, e il suo anelito alla gioia.  

AGI – Cinquecento anni fa le conquiste dei grandi navigatori italiani cominciarono a modificare l’idea di Nuovo Mondo e della geografia fino ad allora conosciuta. Ma fu proprio il fiorentino Giovanni Da Verrazzano – nome forse meno conosciuto di  Colombo e Vespucci – ad aprire nuovi orizzonti alla geografia e alla cartografia rinascimentale, con i suoi disegni e i racconti dettagliati delle sue esplorazioni Oltreoceano.

Dopo il suo primo viaggio, commissionato nel 1524 dal Re di Francia ma reso possibile dai Gondi, famiglia di banchieri fiorentini, furono tracciate nuove rotte commerciali per i mercanti dell’epoca mentre la geografia incominciò ad arricchirsi di particolari sulla morfologia dei territori, la tipologie di flora e fauna e finanche le abitudini delle popolazioni locali

 

“Grazie alle conoscenze di Giovanni Da Verrazzano fu possibile costruire un nuovo mappamondo e produrre nuove carte”, ha spiegato con entusiasmo il comandante dell’Istituto Geografico Militare di Firenze, il Generale Massimo Panizzi, tra i primi ad aderire al progetto di una mostra, curata dal professore e geografo Andrea Cantile, in concomitanza con le celebrazioni transatlantiche del navigatore-umanista che per primo avvistò quel “sito gradevole tra due piccole ma prominenti colline attraversate da un fiume molto grande”, dove nel 1665 sarebbe sorta New York.

 

Firenze ereditò sia la cultura geografica sia la tradizione cartografica per aver dato i natali a esploratori del calibro di Vespucci e Da Verrazzano. Nel capoluogo toscano, non a caso, ha sede l’Istituto Geografico Militare (IGM)  ente per il supporto geotopocartografico delle unità e dei comandi dell’Esercito Italiano. Al suo interno, che già ospita il Museo Storico della cartografia Italiana, è stata allestita la mostra “La visione mutevole di un mondo ancora da scoprire: la cartografia nell’epoca di Giovanni Da Verrazzano” (aperta fino al 31 maggio, orari 13:00 – 18:00).

 

 

All’inaugurazione, lo scorso 24 aprile, sono intervenute autorità civili e militari tra cui il governatore della Toscana, Eugenio Giani, insieme a Massimo Panizzi, comandante dell’Istituto Geografico Militare, al curatore della mostra Andrea Cantile, presidente della Fondazione Osservatorio Ximeniano e a Daniele Ballard, console generale americano a Firenze. Presenti anche la presidente dell’Associazione Amici della Storia e della Cultura Italiana (ACSI) Randa Eid che ha promosso l’iniziativa insieme ad Alan Friedman e Giuseppe Pedersoli, produttore e regista di un nuovo docufilm sul viaggio di Giovanni da Verrazzano (già presentato in anteprima a New York e a Firenze) che è parte integrante del progetto volto a riscoprire la figura del grande esploratore fiorentino in tutta la sua complessità.

 

 

Un progetto che, prendendo le mosse da documenti e nuove ricerche, rimette finalmente nella giusta prospettiva il decisivo contributo del Da Verrazzano alle conoscenze del tempo. Perché, come ha evidenziato il governatore Giani, “quella di Giovanni da Verrazzano è una figura storica fondamentale: fu il primo ponte tra la cultura europea e i nuovi mondi”. 

“Fu lui senza dubbio il primo esploratore a dare sostanza alle conoscenze geografiche del tempo, di fatto arricchendole con preziosi dettagli sui territori, la loro morfologia e le popolazioni che li abitavano”, ha proseguito Panizzi illustrando alcune delle mappe, tuttora conservate all’IGM, che furono tracciate nel XVI secolo, in base alle descrizioni rese dal navigatore.

 

 

“La cartografia mondiale – ha osservato ancora il generale – ha vissuto uno sviluppo notevolissimo a seguito delle grandi scoperte. La mostra dedicata all’evoluzione cartografica tra il ‘300 e il ‘600 riflette anche il nostro sforzo di diffondere la cultura geografica a beneficio delle nuove generazioni.

 

 

L’allestimento offre al visitatore l’esperienza di un affascinante viaggio nel tempo che inizia a Firenze, alla fine del XIV secolo, con la riscoperta e la diffusione della Geografia di Claudio Tolomeo, e si conclude nella baia esplorata dal fiorentino Giovanni da Verrazzano, nel XVI secolo. Come in una sorta di cortometraggio, si potrà apprezzare l’evoluzione della conoscenza geografica, scandita dalle avventurose esplorazioni Oltreoceano, attraverso una selezione di planisferi, disegni e stampe del tempo, prodotte in forma anastatica e ordinate in serie diacronica.  Ne risulta un percorso coinvolgente in grado di dare a tutti, la possibilità di ricostruire le tappe principali delle esplorazioni che condussero all’ampliamento degli orizzonti geografici degli europei.  Ricordando al contempo come, proprio la nostra capitale del Rinascimento, Firenze, tenne anche a battesimo le prime botteghe di “dipintori di carte” e divenne un rinomato centro di produzione cartografica di fama europea.

La mostra resterà aperta ai visitatori, con ingresso libero, fino al 31 maggio con orari 13-18 (chiusa nei giorni festivi e durante il fine settimana).

Il docufilm “Giovanni Da Verrazzano: Dal Rinascimento a New York City”, prodotto da Rai Documentari e Beaver Lake Pictures,  sarà trasmesso da Rai Tre, martedì 7 maggio, alle 23:00