AGI – La conquista delle rovine dell’abbazia il 18 maggio 1944 schiuse agli Alleati la via per Roma. La storia eroica e drammatica di un esercito che veniva dai gulag sovietici. Cerimonia per l’80 anniversario con il presidente della Polonia Andrzej Duda
“Per la nostra e la vostra libertà noi soldati polacchi demmo l’anima a Dio, i corpi alla terra d’Italia, alla Polonia i cuori”. La frase incisa su un grande obelisco nel cimitero monumentale di Montecassino è vicina alla scritta all’ingresso: “Passante, di’ alla Polonia che siamo caduti fedeli al suo servizio”. C’è una storia epica, eroica e drammatica, che va oltre la vittoria di Montecassino che il 18 maggio di ottanta anni fa aprì la via per Roma; una storia di sofferenze, di sangue, di sacrifici e di amarezza per l’esilio. L’abbazia di Montecassino, simbolo della cristianità e della cultura occidentale salvata dalla barbarie, era stata rasa al suolo con 380 tonnellate di ordigni esplosivi nello sciagurato bombardamento aereo del 15 febbraio 1944, perché per i soldati alleati era diventato l’odiato simbolo della resistenza tedesca. Nel sacro recinto, contrariamente a quanto si credeva, non c’era nessun militare della Wehrmacht, ma la distruzione dell’abbazia fondata da San Benedetto aveva fornito a essi un campo di battaglia ideale per resistere.
L’ora del generale Anders
Ogni tentativo di infrangere da lì la Linea Gustav era fallito con un costo altissimo di vite umane. L’11 maggio era stata la volta dei polacchi del II Corpo d’armata del generale Władysław Anders muovere all’attacco, su decisione del comandante dell’8ª Armata britannica, generale Oliver Leese. Alle 23.00 un micidiale fuoco di artiglieria viene rovesciato sui caposaldi tedeschi tenuti dagli esperti paracadutisti della 1ª divisione che alla fine di dicembre del 1943 avevano condotto la battaglia casa per casa di Ortona spezzando l’impeto dell’offensiva su Ortona del Maresciallo Bernard Law Montgomery. I carri armati e i fanti polacchi manovrano all’1.30 del 12 maggio. Sulla linea di fuoco sono schierate la 3ª divisione fucilieri di Carpazia, la 5ª fanteria Kresowa, la 2ª brigata corazzata Varsavia, il gruppo d’artiglieria divisionale, per un totale di circa 50.000 uomini. I combattimenti sono furiosi, i tedeschi contendono ogni palmo di terreno, attacchi e contrattacchi si susseguono senza requie. “Non ricordo se abbiamo dormito, quando e dove, nemmeno se abbiamo mangiato (…). C’erano i morti, i feriti (…) ma la tensione era tale che nulla avrebbe potuto distoglierci da quello che dovevamo fare”, è il ricordo di Mieczysław Rasiej.
La quarta e ultima battaglia
I soldati di Anders venivano dai gulag sovietici, perché presi prigionieri nel settembre 1939 dall’Armata Rossa che il 17 aveva invaso la Polonia secondo l’accordo contenuto nel protocollo segreto del Patto Ribbentrop-Molotov e senza dichiarazione di guerra. I militari erano stati rinchiusi nei campi di concentramento, i familiari erano stati deportati e gli orfani destinati alla russificazione, 22.000 ufficiali erano stati sterminati con un colpo alla nuca su ordine di Stalin e sepolti nella foresta di Katyn. Anders scampò a questa sorte perché era stato recluso nel famigerato carcere della Lubjanka dove era sottoposto a interrogatori e torture. Dopo l’attacco di Hitler all’Unione Sovietica, il 22 giugno 1941, Stalin aveva disposto la liberazione dei soldati, espellendoli dall’Urss per il rifiuto di confluire nell’Armata Rossa, e Anders era riuscito nel piccolo miracolo di portare via non solo i militari ma anche i civili, le donne, i bambini, gli orfani. Un popolo. In centoventimila percorsero 12.500 chilometri in 1.334 giorni dagli sperduti gulag sovietici alla Persia, alla Palestina e infine in Italia, dove il II Korpus era stato costituito alla fine del 1943. Dall’Abruzzo era poi stato spostato a marzo sull’appendice occidentale della Linea Gustav, e il 24 marzo era stato affidato l’incarico di condurre la quarta battaglia di Montecassino.
Una canzone scritta la vigilia della vittoria
La vittoria venne pagata con 923 morti, 345 dispersi e 2931 feriti. La sera prima della conquista delle rovine, il 17 maggio, il compositore Alfred Schütz sui versi di un poeta arruolato nell’esercito di Anders, Feliks Konarski, scrisse la melodia della canzone «Papaveri rossi a Montecassino»: rossi perché avevano bevuto il sangue polacco, «e sui papaveri il soldato camminava e cadeva». Nel luogo che San Benedetto aveva scelto per edificare il monastero nella prima metà del VI secolo era stato versato un fiume di sangue da soldati di undici nazioni: tedeschi, polacchi, statunitensi, britannici, neozelandesi, canadesi, indiani, nepalesi, francesi, marocchini, algerini. La mattina del 18 maggio sulle rovine svettava la bandiera biancorossa della Polonia e si udiva la tromba del caporalmaggiore Emil Czech che annunciava la vittoria e la fine della battaglia.
L’esilio dei combattenti “per la nostra e la vostra libertà”
La via di Roma era aperta, anche se gli americani vi entreranno solo il 4 giugno. Lungo la strada le truppe coloniali del Corpo di spedizione francese si macchiarono di stupri di massa su donne dagli 11 agli 80 anni e anche su uomini, tra cui un parroco, in un’orgia di orrore che numericamente sarà superato solo dall’Armata Rossa nel 1945 nei territori orientali della Germania e a Berlino. I polacchi del generale Anders saranno riportati sul fronte orientale dove combatteranno risalendo la Penisola fino a Bologna. Ma per loro non ci sarà nessun ritorno a casa. La maggior parte di essi proveniva dai territori orientali, che negli accordi di Yalta erano stati ceduti a Stalin, e non avevano né una casa né una Patria. I soldati che avevano combattuto in Italia erano considerati dal regime comunista “al servizio di una potenza straniera”, per loro era meglio che non tornassero in Polonia, e lo stesso Anders, privato pure della cittadinanza, sarà costretto all’esilio. Morirà a Londra il 12 maggio 1970 a Londra, e per suo espresso desiderio è stato sepolto nel cimitero di Montecassino assieme ai suoi soldati. La moglie riposa accanto a lui dal 2010, e la figlia Anna Maria nel 2019 è stata nominata ambasciatrice a Roma. Sabato 18 maggio, accanto a lei, per la cerimonia solenne di commemorazione dell’80° della battaglia di Montecassino, il presidente della Repubblica di Polonia Andrzej Duda e la presidente del Senato Małgorzata Kidawa-Błońska, per l’omaggio ai caduti polacchi di fede cattolica, ortodossa ed ebraica che si sono battuti “per la nostra e la vostra libertà”.