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AGI – Il tribunale di Roma ha condannato l’ex presidente della Camera, Gianfranco Fini a 2 anni e 8 mesi di reclusione nell’ambito del processo per la casa di Montecarlo. Nel corso della requisitoria il pm della Capitale aveva sollecitato per l’ex leader di An una condanna a 8 anni di reclusione. Condannati anche la compagna Elisabetta Tulliani a 5 anni di reclusione (per lei erano stati chiesti 9 anni di carcere), suo fratello Giancarlo a 6 anni di reclusione (era stata sollecitata per lui la pena di 10 anni di reclusione) e il padre Sergio a 5 anni di reclusione (per lui erano stati chiesti 5 anni).

 

L’inchiesta della Procura ruota attorno alla compravendita della casa di Montecarlo, lasciata in eredita’ dalla contessa Annamaria Colleoni ad Alleanza Nazionale, e che sarebbe stata acquistata, secondo l’accusa, da Giancarlo Tulliani attraverso società off-shore. Un’operazione effettuata nel 2008, per poco più di 300 mila euro e che con la rivendita dell’immobile nel 2015 fruttò un milione e 360 mila dollari. L’accusa per tutti gli imputati è quella di riciclaggio.

AGI – Primi anni ’90: in una scuola media di Cesano Maderno  un adolescente silenzioso e complessato di modesta famiglia meridionale si affaccia al mondo privo di armi contro la sua congenita crudeltà. Questo, a grandi linee, il quadro in cui si sviluppa  ‘Scuola di solitudine’ (La nave di Teseo) di Crocifisso Dentello, tra fiction e  auto fiction, denuncia sociale e  riflessione amara su come la vita ci segni indelebilmente fin da piccoli. Il bullismo è un tema del nostro tempo, così come l’incapacità di comunicare: si può strutturalmente fare qualcosa per aiutare  i ragazzi a crescere in un clima culturale che non traumatizzi i più deboli? Lo abbiamo chiesto proprio a Crocifisso Dentello.

 

‘Scuola di solitudine’ è una denuncia

 

Sì tratta del racconto di un personale percorso di solitudine, ma anche della descrizione di un’epoca in cui non esisteva una  sensibilità sul bullismo da parte degli insegnanti e in generale degli adulti; nei ‘90 i ragazzini agivano indisturbati ed alcuni temi erano estranei al dibattito culturale. Oggi la realtà è cambiata e disponiamo di altri strumenti di giudizio, ma allora questa violenza definibile come morbida, abbastanza quotidiana e non particolarmente eclatante, rientrava nella normalità senza essere percepita come sopruso.  Faceva parte del corso delle cose: erano sempre andate così e si riteneva  dovessero continuare a farlo.

 

La scuola italiana è inadeguata alla varietà dei problemi dell’adolescenza

 

Non voglio dire anche nel mio caso non vi siano mai state prove di sensibilità e attenzione, ma in generale i bambini problematici rappresentano sempre  un inciampo, per i compagni di classe e gli insegnati. Come ho detto, oggi forse disponiamo di altri strumenti, ma un ragazzo che nel gruppo classe esprime un handicap psicologico incarna comunque un problema non semplice da gestire. Alla fine del libro mi rammarico di non avere reagito da bambino, perché con gli anni ho imparato che una vittima non deve  mai sopportare i soprusi illudendosi che possano aver fine. Se avessi avuto la forza di rispondere ai torti le cose sarebbero andate diversamente, ma  mi era difficile raccontare alcuni episodi anche a casa: in qualche modo la vittima vive a una doppia umiliazione nel rinnovare il ricordo di quanto subito. Restare in silenzio è però un errore. Una volta coinvolti, gli adulti hanno possono dare degli strumenti di comprensione ai ragazzi; dopo di che, a mio avviso, è necessario restino fuori dal loro microcosmo: vittime e bulli devono trovare un modo di dialogare, in dinamiche inviolabili dai grandi, ma all’interno delle quali può crearsi una possibilità di miglioramento.

 

I ricordi di infanzia condizionano tutta la vita

 

Nel mio caso sì, ma credo valga per tutti. Quello che sono oggi, al netto delle conquiste raggiunte, deriva da ciò che ho visto durante la fanciullezza, dove risiede il nucleo più vero e profondo di ognuno di noi. Da grandi viviamo il riflesso del mondo conosciuto da bambini. Il senso di solitudine con cui sono cresciuto  mi accompagna ancora,  per di più acuito dalla perdita di mia madre. Credo sia importante ricordare che i giovanissimi non sono sempre spensierati come vengono usualmente descritti e possono esistere infanzie terribili anche nell’ambito della cosiddetta normalità.

 

Oggi il bullismo corre sui social, come va affrontato il cambiamento?

 

Non sono un esperto e non so se sia giusto condividere le opinioni estreme di chi pretenderebbe che per entrare nei social sia necessario un meccanismo di riconoscimento personale. La mia opinione è che, nell’impossibilità di eliminare il male ed i bulli, si debba lavorare sulle vittime, anche solo potenziali. I ragazzi vanno aiutati a capire che bisogna trovare la forza interiore di resistere e ignorare i leoni da tastiera, e che al tempo stesso non va mai lasciato passare il segno. Non appena si configurano serie situazioni di disagio, il cyber bullismo va denunciato.

 

Già nel 2019, nel suo saggio ‘Bianco’, Bret Easton Ellis attaccava la tendenza al vittimismo della ultime generazioni: qual è a suo avviso il discrimine tra pura autocommiserazione e farsi paladini di una necessaria battaglia civile?

 

Il confine si è fatto ormai molto sottile e dipende dalla coscienza di ciascuno di noi. Oggi la tendenza ad autocommiserazione e denuncia diventano spesso spettacolo nel flusso social, e le vittime, inconsapevolmente, possono trasformarsi in protagonisti. E’ importante, quanto complicato,  distinguere ogni singolo caso, ma di certo anche il vittimismo può divenire artefatto. Ho raccontato il mio dolore, ma resto consapevole che ogni volta che condividiamo pubblicamente il privato stiamo realizzando – anche se sinceri – un’alterazione della realtà, entrando nella corrente di uno show senza pause che prevede delle derive. Si è creato un corto circuito, che da scrittore recepisco e riconosco, ma non saprei  risolvere.

 

In una società votata alla ricerca della perfezione, come evitare che questo paradigma finisca per danneggiare i singoli individui?

 

Sono pessimista: è dalla tendenza a trasferire nella realtà dei modelli di perfezione virtuale astratta che nasce il problema, soprattutto per le nuove generazioni. Se è evidente che trovare la forza di resistere al paradigma di bellezza fisica imperante risulta ormai impossibile, è altrettanto chiaro che dalla mancata aderenza al modello dominante può nascere il bullismo. Un corpo che non corrisponda ai canoni è semplicemente sbagliato, e come tale può essere offeso, denigrato e insultato. Ho detto che bisogna resistere ai bulli provando a  ignorarli, ma per un ragazzino non è semplice.  La tirannia dell’estetica riguarda anche il vestiario: l’emarginazione dal gruppo comincia dalla mancanza della griffe, delle scarpe o dei jeans giusti da indossare. E la responsabilità parte dagli stessi genitori, che spesso sono i primi ad aver fatto propri alcuni stilemi legati al look. E’ insomma un cane che si morde la coda: siamo tutti dentro un sistema sbagliato e temo che uscirne sia estremamente difficile.

 

 

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AGI – Tre cittadini su quattro hanno rinunciato a curarsi nel Servizio Sanitario Nazionale ma due su tre sperano ancora in una Sanità totalmente pubblica. È questo uno degli aspetti più significativi a emergere dal sondaggio condotto da Ipsos in occasione della giornata mondiale della Salute. In particolare, ben il 74% del campione ha dovuto rinunciare almeno una volta ad una prestazione del SSN a causa dei tempi di attesa (è accaduto più frequentemente al 65% dei cittadini).

Si aggiunga che il 57% degli intervistati ha dovuto rinunciare perché la prestazione non era erogata nella propria zona. Il dato è più preoccupante nelle regioni del centro nord e del centro sud, ma si tratta di un fenomeno diffuso in tutto il Paese. L’80% dei cittadini che hanno rinunciato a curarsi nel Servizio Sanitario Nazionale ha avuto comunque la possibilità di rivolgersi a un servizio privato per ottenere la prestazione, mentre il 16% ha del tutto rinunciato alle cure, una percentuale che tende a raddoppiare tra le fasce della popolazione più in difficoltà economiche e socialmente più marginali.

Nonostante queste evidenti lacune, il 64% del campione sostiene che la sanità debba essere esclusivamente pubblica “ad ogni costo” (metà dell’intera popolazione accetterebbe anche un aumento delle tasse se finalizzate a sostenere il SSN) mentre il 26% accetterebbe un sistema misto pubblico-privato.

“L’offerta specialistica risente in tutto il Paese di una insufficiente disponibilità di risorse economiche ed organizzative per garantire i livelli essenziali di assistenza – sottolinea Silvestro Scotti, Segretario Nazionale della FIMMG – e a questo si aggiunge la difficoltà per molti cittadini di raggiungere il luogo in cui la prestazione viene offerta, spesso troppo lontana dai luoghi di vita delle persone. La Medicina Generale si riconferma ancora una volta l’unico vero baluardo del Servizio Sanitario Nazionale strutturalmente adeguato a fornire ai cittadini un’assistenza di prossimità, gratuita e accessibile a tutte le fasce socio-economiche, trasversalmente in tutto il Paese.

L’accesso alle prestazioni indifferibili dal proprio medico non prevede liste di attesa, mentre le visite programmate vengono effettuate entro pochi giorni. Per questi motivi i cittadini non rinunciano alle prestazioni del proprio medico di famiglia, a differenza di quello che accade in altri ambiti. La difesa del servizio sanitario pubblico – conclude Scotti – passa attraverso la difesa della medicina generale, che è ancora oggi espressione compiuta dei principi che ne hanno ispirato l’istituzione”.

“Il valore della sanità pubblica è riconosciuto e difeso dagli italiani, nonostante il rammarico per tempi di attesa e scarsa capillarità dei servizi sul territorio – afferma Andrea Scavo, Direttore dell’Osservatorio ItaliaInsight di Ipsos che ha curato l’indagine. Su questo tema le nostre indagini registrano costantemente una grande sensibilità degli italiani, che considerano la sanità una delle priorità nazionali e, aspetto più unico che raro, si dichiarano disponibili anche a sostenere un aumento delle tasse pur di migliorarne i servizi”. 

AGI – All’inizio della campagna vaccinale contro il Covid-19, un gruppo di medici e ricercatori della Fondazione Irccs Istituto Neurologico “Carlo Besta” (Fincb), dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche “Mario Negri”- Irccs, dell’Azienda Ospedaliera Senese e della Fondazione Irccs Casa Sollievo della Sofferenza, guidati dall’Istituto di tecnologie biomediche del Consiglio nazionale delle ricerche di Segrate (Cnr-Itb), ha unito le proprie forze per studiare le basi genetiche delle differenze interindividuali nella risposta anticorpale alla vaccinazione anti-Covid-19 con il vaccino BNT162b2 (Pfizer-Biontech).

Lo studio ha mostrato come alcuni soggetti con determinate varianti genetiche nei geni del complesso maggiore di istocompatibilità (proprietà delle cellule di un tessuto di essere riconosciute come proprie da parte dell’organismo e non essere quindi eliminate dal sistema immunitario) coinvolto nei principali meccanismi di difesa del nostro sistema immunitario producevano differenti quantità di anticorpi diretti contro l’antigene del coronavirus Sars-CoV-2. Lo studio è disponibile in open access su ‘Communications Medicine’.

Il gruppo ha condotto uno studio di associazione genetica a livello di tutto il genoma, valutando la correlazione tra milioni di varianti genetiche e i livelli anticorpali nel siero di soggetti vaccinati contro il Covid-19, a 30 giorni di distanza dalla vaccinazione. Infatti, sin dall’inizio della campagna vaccinale si era osservata una differenza sostanziale nelle quantità di anticorpi prodotti dai soggetti vaccinati. Genetisti e immunologi si sono subito chiesti a cosa fosse dovuta tale differenza. 

 

“Come per la maggior parte dei farmaci, cosi’ anche per i vaccini ogni individuo può rispondere in maniera più o meno efficace e questo è dovuto, almeno in parte, alla costituzione genetica individuale”, spiega Francesca Colombo, ricercatrice del Cnr-Itb, che ha guidato lo studio. “Il nostro studio ha coinvolto 1.351 soggetti (operatori sanitari vaccinati nei primi mesi del 2021, nei tre centri ospedalieri coinvolti nello studio), ai quali è stato prelevato un campione di sangue per l’estrazione del Dna e di siero per la misurazione degli anticorpi anti-Sars-CoV-2 dopo un mese dalla somministrazione della seconda dose del vaccino Pfizer-Biontech”, aggiunge.

“Con le analisi statistiche effettuate abbiamo scoperto che una particolare regione del genoma, sul cromosoma 6, era significativamente associata ai livelli anticorpali”, aggiunge Martina Esposito, primo autore dello studio e assegnista di ricerca presso il Cnr-Itb. “In questa specifica regione genomica sono presenti dei geni che codificano per delle molecole presenti sulla superficie cellulare, coinvolte nei meccanismi di risposta immunitaria. Questi geni – continua – sono molto variabili (sono gli stessi che vengono valutati quando si cerca la compatibilità fra donatori di midollo osseo, ad esempio) ed esistono differenti combinazioni. Il nostro studio ha evidenziato che alcune combinazioni erano associate a livelli di anticorpi più alti, mentre altre a livelli più bassi, spiegando quindi dal punto di vista genetico le differenze nella risposta alla vaccinazione osservate tra individui diversi”.

Spiega Massimiliano Copetti, responsabile Biostatistica della Fondazione Irccs Casa Sollievo della Sofferenza: “I modelli matematici usati e le analisi statistiche effettuate per arrivare a questi risultati sono molto complessi perché complessa è l’interazione tra i geni e dei geni stessi con il vaccino. L’expertise maturata negli studi genetici in molti anni di ricerca condotta a Casa Sollievo della Sofferenza ci ha permesso di gestire tale complessità nei dati, contribuendo a giungere a questi importanti risultati”.

 

Aggiunge Massimo Carella, biologo genetista e vice-direttore scientifico della Fondazione Irccs Casa Sollievo della Sofferenza: “L’identificazione di specifici alleli Hla che conferiscono una predisposizione ad un’alta o bassa produzione di anticorpi dopo la somministrazione del vaccino anti-Covid ci può permettere ora di differenziare e personalizzare la campagna vaccinale, fornendo a ciascun individuo il vaccino più adatto, cioè quello che gli permetterà di produrre più anticorpi possibili. Questo approccio può essere esteso anche ad altri vaccini ideati contro altre malattie, nell’ottica di una vaccinazione di precisione supportata dalla vaccinogenomica”. Sottolinea Colombo: “I risultati del nostro studio confermano in parte quelli già riportati da un gruppo inglese che ha condotto una ricerca simile alla nostra ma su soggetti ai quali è stato somministrato il vaccino prodotto da AstraZeneca, e questo è molto importante in studi genetici di questo tipo, in cui differenze genetiche tra diverse popolazioni possono rendere difficile l’identificazione delle varianti realmente responsabili del fenomeno biologico osservato”.

Conclude Raffaella Brugnoni, ricercatore sanitario presso il Dipartimento di Ricerca e Sviluppo Clinico della Fondazione Irccs Istituto Neurologico Carlo Besta: “La forza di questo progetto di ricerca sta nella fattiva collaborazione fra i vari partner e nel suo approccio multicentrico, al quale abbiamo contribuito attraverso la raccolta del materiale biologico e dei dati sierologici fondamentali per questo studio. Si tratta di un esempio di come le diverse comunità scientifiche possano collaborare per il progresso della ricerca e del benessere comune”.

La collaborazione a livello nazionale di più centri ha consentito l’arruolamento di un buon numero di soggetti e la raccolta del relativo materiale biologico, aspetto fondamentale per studi genetici come questo, che per definizione necessitano di casistiche numerose per poter ottenere risultati robusti. Sempre per questo motivo i ricercatori hanno già in programma di condividere i dati prodotti con altri gruppi, a livello internazionale, per ottenere informazioni riguardanti la genetica della risposta ai vaccini anti-Covid-19, che possano essere valide per individui non solo di origine europea, ma anche di altre popolazioni del mondo.

Lo studio apre inoltre nuove strade verso quella medicina di precisione di cui si parla sempre più spesso perché, anche nell’ambito dei vaccini, la conoscenza delle basi genetiche di una risposta più o meno efficace potrebbe consentire una campagna vaccinale più mirata, soprattutto per i soggetti più fragili. La ricerca è stata finanziata dell’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai.

 

 

AGI – La polizia ha effettuato una carica di alleggerimento in via Verdi per allontanare i manifestanti che si oppongono al G7 e che stanno cercando di avvicinarsi alla zona rossa in piazza Carlina, a Torino, dove si trova uno degli hotel che ospita la delegazione del summit. I manifestanti, all’urlo di “Free Palestine” e “Noi i ministri non li vogliamo” hanno provato a forzare il cordone formato dagli agenti in tenuta antisommossa in prossimità di un bar, lanciando anche tavolini in ferro verso gli agenti, che hanno caricato per allontanarli.

 

Un gruppo di attivisti pro Palestina e appartenenti ai centri sociali aveva già cercato di forzare il cordone di polizia nei pressi di Palazzo Nuovo, a Torino, per raggiungere la zona rossa in piazza Carlina, dove è presente uno degli hotel che ospita la delegazione del G7. La polizia ha respinto i manifestanti con scudi e sfollagente. Azionati anche alcuni idranti per disperdere la massa di persone giunta nel centro della città.

 

 

La manifestazione si è conclusa poi alle 21. Oltre un centinaio di giovani hanno cercato in più occasioni di forzare i cordoni di polizia. Si registrano cinque agenti rimasti feriti in modo lieve. I manifestanti, nel corso dei disordini, hanno lanciato, fra le altre cose, bottiglie e tavolini di un dehor contro i poliziotti. In 50 sono stati identificati al termine del corteo

 

 

AGI – “L’ad della Rai Roberto Sergio e il dg Giampaolo Rossi sono venuti a conoscenza solo ieri sera della drammatica vicenda di Franco Di Mare, al quale esprimono tutta la propria vicinanza umana e assicurano la loro disponibilità a fare tutto il possibile per consentire al giornalista di ricostruire quanto da lui richiesto”. Questa la risposta di Viale Mazzini all’accusa lanciata dal giornalista e conduttore tv, Franco Di Mare, che domenica sera ha rivelato la sua malattia durante una puntata di “Che tempo che fa” sulla Nove. 

 

Il volto Rai comparso in video, con un tubicino per la respirazione, ha annunciato di essere affetto da “mesoteliema”, in una forma molto grave che “non lascia scampo”. Durante l’intervista da Fazio, Di Mare ha spiegato che la malattia è dovuta all’esposizione alle particelle di amianto “si respirano particelle di amianto senza saperlo e una volta liberata nell’aria la fibra, ha un tempo di conservazione di sé lunghissimo e quando si manifesta è troppo tardi”. La malattia è nota soprattutto tra i militari impegnati in Kosovo e nei Balcani, che a distanza di 30 anni hanno visto manifestarsi i sintomi. Per questo il conduttore entrato in Rai nei primi anni ’80 e lungo inviato di guerra, ha chiesto all’azienda la lista delle sue trasferte per poter capire se dal punto di vista legale potrebbe essere considerata una malattia professionale. Da qui l’accusa verso la Rai “capisco che ci siano ragioni sindacali e legali, io chiedevo lo stato di servizio, l’elenco dei posti dove sono stato per sapere cosa si potrebbe fare. Non riesco a capire l’assenza sul piano umano, persone a cui davo del tu che si sono negate al telefono. Trovo un solo aggettivo: è ripugnante”.