AGI – E mobilitazione sia. “Culturale e comunicativa”, ok, ma i magistrati intendono riprendersi la ‘piazza’ del dibattito per spiegare alla gente la posta in palio e che non sono una casta, bensì l’argine all’arretramento dei diritti e delle garanzie costituzionali che il governo vorrebbe realizzare col piccone delle riforme.
L’Associazione nazionale magistrati – afferma la mozione finale approvata per acclamazione al termine di tre giorni di congresso, il 36esimo, celebratosi a Palermo e inaugurato venerdì dall’ovazione riservata a Sergio Mattarrella, “è determinata ad assumere ogni utile iniziativa per informare l’opinione pubblica in ordine alla propria argomentata opposizione a tale riforma, e invita da subito tutti gli iscritti a una mobilitazione culturale e comunicativa che faccia comprendere i rischi che questa comporta per l’effettiva tutela dei diritti dei cittadini e per la scrupolosa osservanza delle loro garanzie costituzionali”.
Al centro soprattutto i nodi della separazione delle carriere e dell'”indebolimento” del Csm, temi su cui non è ammessa alcuna trattativa, perché “la Costituzione non si tocca” scandisce subito dopo l’ok assembleare al documento, il presidente dell’Anm, Giuseppe Santalucia, che parla di “cattivo” e “pericoloso” progetto di riforma.
“Non abbiamo da trattare. Il tema – spiega il presidente dell’Anm – non è discutere dei diritti dell’impiegato-magistrato, è un problema di cultura istituzionale e costituzionale. Non abbiamo da trattare, ma da parlare alla politica e alla società intera per dire che questa Costituzione ha ancora molto da dire, che non va toccata almeno per quanto riguarda la giurisdizione”. Nessuna mediazione, quindi, ma bisogna farsi capire dalla gente: “Dobbiamo sapere comunicare per spiegare che non c’è nessuna chiusura corporativa, nessun atteggiamento da casta. Si tratta di magistrati, quindi di una porzione di cittadinanza, che vuole dire la propria. Poi che la politica decida”. Sulla volontà di farsi sentire, la mozione è altrettanto esplicita: “Rivendichiamo l’importanza della partecipazione di tutti i magistrati al dibattito pubblico, non solo in quanto cittadini dotati di pari diritti rispetto agli altri, ma anche come portatori di esperienza, cultura, principi, ispirati ai valori costituzionali e alla legalità”. Santalucia sul punto è netto: “Abbiamo posto l’attenzione su alcune regole di comportamento, ma questo non significa fare dei magistrati soggetti che devono stare in una zona d’ombra, in silenzio coatto. I magistrati possono e devono partecipare alla discussione pubblica, ma lo devono fare con lo stile e il profilo del magistrato”. Poi, entrando nel merito, si rivolge direttamente al ministro della Giustizia, Carlo Nordio, che, intervenuto nel secondo giorno del congresso, aveva invitato al dialogo: “Non siamo contrari alle riforme, ma ci sono quelle buone e quelle cattive. Noi siamo contrari a una riforma che non apporterebbe alcun beneficio alla giustizia, che porrebbe in pericolo l’indipendenza della magistratura. Quindi al ministro che ci dice che non è in discussione l’indipendenza del pubblico ministero, che il pm del domani da lui disegnato avrà la stessa indipendenza di quello odierno, diciamo: ma se così è, perché toccarlo? Teniamoci l’indipendenza che abbiamo già”.
Piuttosto, ribadisce la mozione finale, la separazione delle carriere “non è affatto funzionale a garantire la terzietà del giudice, ma appare piuttosto uno strumento per indebolire in modo sostanziale il ruolo del pubblico ministero e, conseguentemente, la funzione di controllo di legalità rimessa al giudice e lascia presagire che venga agitata come strumento di ritorsione e minaccia nei confronti della magistratura tutta”. Il superamento dell’unica matrice culturale tra giudici e pubblici ministeri si tradurrebbe, è la tesi dell’Anm, “inevitabilmente nella rinuncia a valori nevralgici per la democrazia, e innanzitutto all’obiettivo della imparziale ricerca della verità che il pubblico ministero deve perseguire, come il giudice”. Separare il pubblico ministero dal giudice, distinguere le carriere all’accesso e dal punto di vista ordinamentale, separare gli organi di autogoverno, “porterebbe alla istituzione di una figura professionale di ‘pubblico persecutore’, molto lontana dall’attuale organo dell’accusa, che oggi è preposto alla ricerca della verità ed è garante del rispetto delle prerogative dell’indagato, anche nella fase della raccolta delle prove da parte della polizia giudiziaria”. Separare il pubblico ministero dal giudice avrebbe, inoltre, “gravissime ripercussioni sull’obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale indispensabile per l’attuazione del principio di eguaglianza del cittadino dinanzi alla legge”. E ancora: “Le riforme prospettate indebolirebbero fatalmente il Csm, riducendone le competenze, eliminando quelle di maggior rilievo, compromettendone l’autorevolezza e alterando la proporzione tra componenti laici e togati. Tale indebolimento pregiudica la realizzazione dell’uguaglianza formale e sostanziale dei cittadini”. Una prova di unita’ e determinazione quella superata dai magistrati convenuti in Sicilia, per Santalucia: “La magistratura ha ritrovato la voglia di esserci, di parlare e di consultarsi insieme e all’esterno. È una mozione congressuale importante che dimostra una ritrovata unità e una consapevolezza e fermezza della magistratura, del suo importantissimo ruolo, dei doveri che questo ruolo comporta nei confronti della cittadinanza”.