AGI – “L’interpretazione è l’essenza della giurisdizione. Senza adeguate garanzie di libertà della interpretazione nessun ordinamento può ambire a definirsi democratico. La magistratura italiana si impegna quotidianamente a praticare e a rispettare il principio costituzionale che vuole il giudice soggetto soltanto alla legge e che costituisce il presupposto dell’autonomia e dell’indipendenza della giurisdizione”. Inizia così la mozione finale approvata per acclamazione dall’Associazione nazionale magistrati, atto conclusivo del 36esimo congresso svoltosi a Palermo.
IPERTROFIA SCADIMENTO E ‘BUCHI’ NORMATIVI
La magistratura italiana “denuncia pubblicamente la condizione di ipertrofia normativa in cui si trova a operare e lo scadimento qualitativo della produzione normativa, sempre più spesso improntata alla soluzione del contingente, senza un adeguato sforzo di coerenza sistematica”. Cosi’ come denuncia “la persistente assenza di una disciplina chiara e puntuale su importanti ambiti che toccano nel profondo le vite dei cittadini”. La giurisdizione “non si sottrarrà mai al dovere di rispondere alla domanda di giustizia formulata dai cittadini, anche risolvendo in via interpretativa le aporie del quadro normativo, ispirandosi a prudenza e misura nell’esercitare la sua discrezionalità, ma chiede che altrettanto senso di responsabilità venga assunto dagli altri poteri dello Stato nel rispondere alle attese dei cittadini”.
GIUSTIZIA TEMPESTIVA, MA FRENO A INTELLIGENZA ARTIFICIALE
La magistratura italiana conferma anche “il suo impegno volto ad assicurare che la risposta alla domanda di giustizia sia sempre più tempestiva, ma va mantenuto fermo il principio che l’attività del giudicare non può mai essere demandate all’intelligenza artificiale, che può e deve servire per assicurare più efficaci strumenti di organizzazione, non per supplire all’attività del giudicare, che è e deve restare prerogativa esclusivamente umana”.
LIBERA INTERPRETAZIONE E IMPARZIALITÀ
Il tema della libertà dell’interpretazione “è intimamente connesso con quello della imparzialità del magistrato. Dell’ampia discrezionalità immanente all’attività interpretativa i magistrati italiani danno quotidianamente conto al popolo, nel cui nome amministrano la giustizia, con le motivazioni dei loro provvedimenti, che costituiscono il cuore pulsante dell’attività giurisdizionale”.
NO A CRITICA FONDATA SULLA RICERCA NELLA VITA PRIVATA DEL MAGISTRATO
La dialettica tra i poteri trae alimento dalla critica, che puo’ e deve avere a oggetto anche i provvedimenti giudiziari, “ma va ribadito che tale critica deve muovere dal rispetto reciproco, ispirarsi a continenza ed essere sempre motivata e ragionata, nell’interesse dello Stato e della fiducia che tutti i cittadini devono riporre nelle istituzioni democratiche. è dannosa per le istituzioni una critica che non parta dalle motivazioni del provvedimento giudiziario, e che sia fondata sulla ricerca nella vita privata del magistrato, di dichiarazioni o meri comportamenti che, talvolta travisati e comunicati ad arte, possano dare, all’opinione pubblica, l’impressione di un pregiudizio, di una partigianeria che ne ha guidato la penna”. Questo modo di muovere critiche alle decisioni dei giudici “va contrastato con grande fermezza, perchè inquina il dibattito pubblico intorno alla giustizia e genera sfiducia verso la magistratura”.
DIRITTO ALLA PARTECIPAZIONE AL DIBATTITO PUBBLICO
La partecipazione al discorso pubblico, “pur con la cautela imposta dal ruolo, puo’ contribuire a una piu’ consapevole considerazione delle implicazioni delle scelte che il decisore politico intende assumere, soprattutto quando vengono in rilievo possibili compressioni dei diritti fondamentali, nell’ottica del perseguimento delle finalità previste dalla Costituzione”.
La magistratura italiana “ha conquistato un patrimonio di credibilità e di fiducia presso i cittadini, anche pagando un prezzo di sangue tra i piu’ alti al mondo, ed è consapevole del fatto che esso va difeso nel quotidiano anche con le condotte dei singoli, perchè costituisce un capitale sociale inestimabile”. Proprio per questo dobbiamo interrogarci su quali siano i temi, le modalità e i contenuti piu’ idonei a prevenire strumentalizzazioni e a evitare che le nostre voci si confondano con il rumore di fondo di un dibattito, spesso confuso e sgrammaticato, e finiscano per ingenerare ancora piu’ confusione e disorientamento nei cittadini”. Tra i temi, “certamente” quelli attinenti alla funzione, al ruolo e alle attribuzioni della magistratura, “cosi’ come quelli correlati alle leggi sostanziali e processuali che ne governano l’operato, comprese quelle che definiscono, accrescono o restringono il catalogo dei diritti. Nè possono esserne esclusi i temi che, essendo pertinenti all’equilibrio tra i poteri definito dalla Costituzione, incidono, anche indirettamente, sul ruolo della giurisdizione rispetto agli altri poteri pubblici”. Si rivendica, quindi, “l’importanza della partecipazione di tutti i magistrati al dibattito pubblico, non solo in quanto cittadini dotati di pari diritti rispetto agli altri, ma anche come portatori di esperienza, cultura, principi, ispirati ai valori costituzionali ed alla legalità”.
NO ALLA SEPARAZIONE DELLE CARRIERE, NESSUNA TRATTATIVA
Quanto alle riforme l’Anm ribadisce “la propria intransigente contrarietà alla separazione delle carriere e al complessivo indebolimento del Csm che ne costituiscono il contenuto principale”. L’unicità della magistratura “è valore fondante del nostro associazionismo: tale sua caratteristica ontologica è incompatibile con ogni possibilità di mediazione e trattativa sugli specifici contenuti delle riforme”. La separazione delle carriere “non è affatto funzionale a garantire la terzietà del giudice, ma appare piuttosto uno strumento per indebolire in modo sostanziale il ruolo del pubblico ministero e, conseguentemente, la funzione di controllo di legalità rimessa al giudice e lascia presagire che venga agitata come strumento di ritorsione e minaccia nei confronti della magistratura tutta”.
Separare il pubblico ministero dal giudice, porterebbe alla istituzione di una figura professionale di ‘pubblico persecutore’, molto lontana dall’attuale organo dell’accusa, che oggi è preposto alla ricerca della verità ed è garante del rispetto delle prerogative dell’indagato, anche nella fase della raccolta delle prove da parte della polizia giudiziaria”. Separare il pubblico ministero dal giudice “avrebbe gravissime ripercussioni sull’obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale indispensabile per l’attuazione del principio di eguaglianza del cittadino dinanzi alla legge. Alla logica della separazione l’Anm vuole contrapporre la logica della condivisione. La matrice culturale della giurisdizione deve essere strettamente condivisa tra giudici, avvocati e pubblici ministeri”.
UN CSM PIÙ DEBOLE
Il Csm “è l’unico presidio posto dalla Costituzione a tutela dell’autonomia e indipendenza della magistratura, che è indispensabile per realizzare l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Le riforme prospettate indebolirebbero fatalmente l’organo di autogoverno dei magistrati, riducendone le competenze, eliminando quelle di maggior rilievo, compromettendone l’autorevolezza e alterando la proporzione tra componenti laici e togati. Tale indebolimento pregiudica la realizzazione dell’uguaglianza formale e sostanziale dei cittadini”.
MOBILITAZIONE CULTURALE E COMUNICATIVA
L’Anm “è determinata ad assumere ogni utile iniziativa per informare l’opinione pubblica in ordine alla propria argomentata opposizione a tale riforma, e invita da subito tutti gli iscritti a una mobilitazione culturale e comunicativa che faccia comprendere i rischi che questa comporta per l’effettiva tutela dei diritti dei cittadini e per la scrupolosa osservanza delle loro garanzie costituzionali”.