AGI – Un messaggio in codice via radio dà il via libera il 2 aprile 1944 a quella che sarà chiamata Svolta di Salerno sulla questione istituzionale. «Madrid ci consiglia svolta partecipazionista. Tenetene conto intendendovi con Pietro. Firmato Gegè». Madrid è Palmiro Togliatti, Pietro è Pietro Nenni e Gegè è Eugenio Reale, ovvero il gruppo dirigente del Partito comunista italiano. È un deciso cambio di rotta rispetto ai punti cardine stilati da Togliatti in ossequio a Georgi Dimitrev, già segretario generale del Komintern sciolto da Stalin con uno dei suoi diabolici giri di valzer politici: l’abdicazione di Vittorio Emanuele III, in quanto responsabile della nascita del regime fascista e dei suoi crimini, e la reggenza temporanea del Maresciallo Pietro Badoglio, ma col rifiuto dei comunisti a partecipare al governo in carica, riservandosi solo di entrare in quello nuovo auspicabilmente con Carlo Sforza come premier. Questi punti sono fissati il I marzo, quando Stalin è invece già pronto a sparigliare le carte e a spiazzare gli Alleati angloamericani riconoscendo per primo il governo italiano. Togliatti era convinto che il presidente americano Franklin Delano Roosevelt fosse favorevole a mantenere il vecchio Re, e che l’arrivo degli americani a Roma, dopo lo sbarco di Anzio, avrebbe rimescolato la situazione in senso favorevole ai Savoia.
Cambio di prospettiva
L’atteggiamento degli Alleati sulla questione istituzionale era già emerso il 28 gennaio a Bari in occasione del Congresso dei partiti antifascisti convocato in forma semiufficiale perché gli angloamericani non intendevano riconoscere a essi la rappresentatività del popolo italiano e men che meno il crisma sull’abdicazione del re e della convocazione di un’assemblea costituente, come richiesto. I britannici erano possibilisti sulla continuità dinastica, gli statunitensi assai meno. Stalin ha invece l’esigenza che i comunisti “pesino” nella composizione del nuovo governo e pertanto si è affrettato a riconoscere quello di Badoglio portando una cambiale all’incasso per il PCI in chiave geopolitica di riassetto dei Balcani. Nella notte tra il 3 e il 4 marzo convoca Togliatti e gli dice che deve andare in Italia, a Salerno dove ha sede il governo, per prendere accordi con Badoglio e con Vittorio Emanuele. Il 4 il Cremlino avverte sulla disponibilità a riconoscere il governo italiano e quando la notizia filtra, per gli inglesi diventa un problema nella gestione degli affari italiani, perché rafforza i poteri al vertice e indebolisce quelli della Giunta esecutiva permanente eletta dal congresso del CLN a Bari.
Riconoscimento a sorpresa e l’azione di Togliatti
Il 14 marzo il riconoscimento è cosa fatta, Il compagno Ercole Ercoli, alias Togliatti, è partito per Napoli e vi giunge via mare il 26. Harold Mcmillan aveva visto giusto sul cambio di prospettiva rispetto all’abdicazione del Re e la fine dell’esperienza di Badoglio. Il 3 aprile, con l’arrivo di Togliatti al tavolo politico, i contrasti tra i partiti si acuiscono, come peraltro nella riunione del 6 a casa di Benedetto Croce alla presenza di Carlo Sforza, quando liberali e democristiani sno convinti a spostarsi sulle posizioni comuniste. Il 15 aprile la linea di Togliatti prevale e di fatto il ruolo della Giunta esecutiva si svuota. Il 22 aprile il Re nomina i ministri del II governo Badoglio, il primo con i sei partiti antifascisti del CLN. Ministri senza portafoglio sono Togliatti (PCI), Croce (Partito liberale), Sforza (indipendente), Pietro Mancini (PSIUP) e Giulio Rodinò di Miglione (DC); all’Interno va Salvatore Aldisio (DC), la Giustizia viene assegnata a Vincenzo Arangio-Ruiz (PLI), le Finanze a Quinto Quintieri (PLI), l’Agricoltura a Fausto Gullo (PCI), l’Industria e il commercio ad Attilio Di Napoli (PSIUP), i Lavori pubblici ad Alberto Tarchiani (Partito d’azione), l’Educazione nazionale ad Adolfo Amodeo (Pd’A) e le Comunicazioni a Francesco Cerabona (PDL); il resto dei dicasteri spetta a Badoglio e ai militari. Tutti giurano a Ravello, nelle mani di Vittorio Emanuele, che formalmente da pochi giorni si è ritirato a vita privata. Togliatti, intanto, si circonda subito dei più irriducibili antimonarchici, a riprova che la Svolta di Salerno è una pace tattica di compromesso ma con chiari intenti utilitaristici di partito secondo le direttive di Mosca.
La liberazione di Roma e la fine dei Savoia
Quel governo rimarrà in carica appena 55 giorni, e cadrà il 6 giugno non appena si avvera la clausola risolutiva espressa che è rappresentata dall’ingresso degli Alleati a Roma. Saranno loro a negare a Vittorio Emanuele di rimettere piede nella Capitale da lui abbandonata il 9 settembre 1943 con la fuga di Pescara, e pure alle truppe italiane cobelligeranti di essere le prime a entrare nella Città eterna, concedendo solo di montare la guardia al Quirinale. Il Re rimarrà abbarbicato a un trono che non è più suo e che nessuno intende riconoscergli, schermandosi con l’escamotage della Luogotenenza al figlio Umberto, il 12 aprile 1944, e ritirandosi dalla scena senza cedere il ruolo. Abdicherà solo il 9 maggio 1946, a Napoli, con atto notarile in carta da bollo, come un borghese qualunque. È, quello, l’ultimo mese della monarchia in Italia. Il 2 giugno la questione istituzionale sollevata dai partiti antifascisti a Bari si scioglie con il referendum che vede prevalere la Repubblica sulla monarchia con circa 2 milioni i voti di scarto e uno strascico di virulente polemiche giuridiche e politiche. Umberto II il 13 giugno partirà per l’esilio a Cascais, in Portogallo.