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AGI – “Vista la conclusione positiva della vertenza sugli intermittenti e la piena applicazione economica e normativa del rinnovo contrattuale, si revoca lo sciopero proclamato per il 4 aprile 2024”. Lo fanno sapere le rappresentanze sindacali della Cgil del Teatro alla Scala di Milano. “Il giorno 27 marzo 2024 – scrivono in una nota – si è raggiunta un’intesa di massima sulla retribuzione e sulla normativa dei lavoratori intermittenti (operai serali e personale di sala) e nei prossimi giorni sara perfezionato il testo per sottoscrivere un accordo sindacale, parte integrante del Contratto Scala, che mettera fine a una lunga storia per questa tipologia di lavoratori, che da oltre 20 anni attendevano un adeguamento che andasse a sanare incongruenze e discriminazioni salariali che hanno prodotto lunghe e complesse vertenze legali”. Inoltre “l’intesa raggiunta prevede una nuova formula per il personale di sala assunto a completamento di organico in aggiunta al personale con contratto a tempo indeterminato, con la possibilita per gli studenti universitari che siano in regola con il percorso scolastico, di poter rinnovare il rapporto di lavoro sino al termine del ciclo di studi”. Cgil spiega poi che “con questo accordo si chiude la trattativa sul rinnovo contrattuale del triennio 2024/2026 iniziata un anno fa, per fissare subito dopo Pasqua degli incontri sindacali per affrontare i seguenti temi: la distribuzione degli spazi nella nuova palazzina in via Verdi e in Teatro, l’accordo per le trasmissioni in streaming su ScalaTV, la riorganizzazione interna iniziando dalla Direzione Allestimento Scenico, proseguendo con tutte le altre Direzioni, in una discussione propedeutica alla definizione della nuova pianta organica”. 

“Negli ultimi 4 anni – aggiunge il sindacato – pensiamo di avere raggiunto molti obiettivi, dalla difficile gestione dell’emergenza Covid sino a questo ultimo rinnovo contrattuale. Consideriamo di fondamentale importanza poter proseguire il percorso negoziale in un clima di serenita, di stabilita e di continuita, evitando che bruschi e repentini cambi al vertice siano causa di complicazioni nelle relazioni sindacali. La recente riorganizzazione della struttura dirigenziale proposta dal Sovrintendente e approvata dal Consiglio di Amministrazione, con il superamento del Direttore Generale e conferimento di quelle funzioni ai vari dirigenti del teatro, – si puo’ rilevare – puo garantire una perfetta transizione nell’avvicendamento di un nuovo Sovrintendente che, una volta designato, deve poter avere piena autonomia nelle nomine dei responsabili artistici, senza inopportune ingerenze esterne”. 

AGI – Una turista cinquantenne, originaria della Repubblica Ceca, è morta questa mattina precipitando in un dirupo del monte Conero. Da quanto si è appreso, faceva parte di un gruppo du escursionisti che stavano percorrendo il sentiero 302, che porta al Passo del Lupo. La donna si sarebbe fermata forse per scattare una fotografia, scavalcando la staccionata protettiva: a quel punto avrebbe perso l’equilibrio, precipitando per oltre 10 metri. Gli amici che erano con lei hanno dato subito l’allarme, ma quando i soccorsi sono arrivati sul posto e si sono calati per raggiungerla hanno potuto solo constatare che era già morta.

AGI – “Oltre 20 anni di impegno italiano nella missione NATO KFOR per promuovere pace e stabilità confermano forte legame di amicizia tra Italia e Kosovo. Nostra presenza determinante per mitigare tensioni e scongiurare escalation tra le parti”. Lo ha scritto il ministro della Difesa, Guido Crosetto sulla pagina X del ministero a seguito della visita di oggi a Pristina nel Kosovo dove ha incontrato il suo omologo kosovaro, Ejup Maqedonci.

 

“State contribuendo alla credibilità dell’Italia a livello internazionale in un momento complesso – cosi’ sempre su X il ministro Crosetto si è rivolto ai militari italiani della missione Kfor – Auguri a voi, che servite il Paese lontani da casa, e ai vostri cari a cui va il mio grazie. Gli italiani sono fieri di voi!”.

 

“Stabilità Balcani è priorità dell’Italia. Con collega Ejup Maqedonci – ha aggiunto il ministro – esaminate opportunità di cooperazione con le Kosovo Security Forces, per sostenere la sicurezza e stabilità della regione. Disponibilità a trovare assieme il modo per rendere cooperazione sempre più efficace”. 

 

 

 

“Ottimo punto di situazione con il Generale Ozkan Ulutas, Comandante NATO KFOR. Italia pronta ad assumere nuovamente il Comando della missione, un impegno fondamentale per la stabilità della regione e dell’intera Europa” ha concluso. 

AGI – Un gigante della politica italiana e dell’antifascismo, direttore della rivista Critica Sociale, per anni colpevolmente dimenticato. Arriva in libreria “L’eretico. Giuseppe Faravelli nella storia del socialismo italiano”, volume scritto da Fabio Florindi ed edito da Arcadia edizioni. Si tratta della prima biografia sulla vita di Faravelli, un uomo che ha attraversato un’ampia stagione politica italiana, stando sempre dalla parte dei lavoratori e del socialismo riformista. Vicino a Giacomo Matteotti e a Filippo Turati, con l’avvento del fascismo anche lui subirà le persecuzioni che lo porteranno a espatriare all’estero, dove diventa Joseph, tra i più intransigenti e influenti capi dell’antifascismo in esilio.  Il libro offre una narrazione ricca di dettagli e documentazione inedita. Attraverso uno stile coinvolgente, ci restituisce non solo la figura pubblica di Faravelli, ma anche il suo lato più intimo e umano. Era un iracondo, che si lasciava andare spesso a sfuriate leggendarie. Era anche dotato di un’ironia corrosiva, che scivolava volentieri nel turpiloquio. Tanto la sua salute era precaria, a causa di un enfisema che lo tormentò per tutta la vita, quanto il suo carattere era forte.

 

Nato nel 1896 a Broni, in provincia di Pavia, in una terra dove il socialismo riformista aveva dato vita ad alcune delle sue più lungimiranti realizzazioni, Faravelli si dimostra per tutta la vita l’antipode del politico di potere. Approda al socialismo dopo l’esperienza della trincea nella Grande Guerra, dove per la sua condotta gli vengono conferite la medaglia di bronzo e la croce di guerra al valor militare. Aderisce alla corrente riformista di Turati, di cui è uno dei discepoli prediletti. Con l’avvento della dittatura fascista, Faravelli non ripara all’estero, ma sceglie di continuare la battaglia nella clandestinità. Resta al suo posto di commissario amministrativo del Comune di Milano e si serve dell’impiego per fornire a diversi antifascisti le carte necessarie per l’espatrio. Scoperta la sua attività contro il regime, nel 1931 deve però fuggire avventurosamente in Svizzera. 
Quando la Francia crolla, sotto l’avanzata dei panzer di Hitler, è sempre Faravelli a cercare di rimettere assieme i cocci del Psi in esilio, andato in mille pezzi. Riparato in modo rocambolesco a Tolosa, scrive ai membri dell’ultima direzione del partito per mettere a punto le nuove direttive. Nel 1943 le autorità della Francia “libera” lo consegnano alla polizia fascista. Joseph rischia la condanna a morte, ma alla fine se la cava con 30 anni di carcere. A ridosso della Liberazione, un bombardamento americano gli permette di fuggire di prigione e di riparare in Svizzera.

A guerra finita è il primo a lamentare la paralisi del Partito socialista a causa dello scontro tra l’anima democratica e quella frontista. Faravelli spende tutte le sue energie nella battaglia interna contro i frontisti. Gliene dà atto anche Saragat, che dall’ambasciata italiana a Parigi gli comunica: “Ho saltato il fosso: rientro in Italia. Ho scritto in questo senso al presidente De Gasperi e penso che per i primi di marzo sarò con voi […]. Ciò che mi ha deciso è stato lo spettacolo di serietà, di fermezza e di coraggio che anima il vostro gruppo di Critica sociale” . Joseph è il più lucido della sua corrente nel leggere la situazione e il primo a convincersi dell’ineluttabilità della scissione, che nel gennaio del 1947 conduce alla nascita del Psli.  

 

L’idea di un Partito socialista come “terza forza”, che non dovesse chinare il capo né alla Dc né al Pci, restò sempre la sua stella polare. Questa visione lo condusse alla solitudine politica, Faravelli fu uno dei pochi protagonisti dell’antifascismo che con l’avvento della Repubblica non ricoprì incarichi di prestigio nelle istituzioni. Un po’ perché rifuggiva gli onori e le candidature, ma anche perché era un politico scomodo, non disposto ad anteporre il tornaconto personale o di “clan” all’interesse del Paese. Intransigente con il fascismo, lo fu in modo altrettanto forte con il comunismo. Dopo la scissione, fu uno dei tre segretari provvisori dei socialdemocratici. Ma, come prima aveva attaccato la politica frontista di Nenni, nel nuovo partito Faravelli criticò la linea di Saragat, secondo lui troppo appiattita sul ministerialismo e sulla Dc. 

Joseph ripose molte speranze sull’unificazione socialista, che prese corpo nella seconda metà degli anni ’60, pur essendo critico sulle modalità con cui venne intrapresa. Il fallimento di quell’operazione, e la successiva scissione con la rinascita di Psi e Psdi, fu l’ennesima delusione della sua militanza. Non gli rimase che Critica Sociale, di cui Faravelli era diventato direttore nel 1958, dopo la morte di Ugo Guido Mondolfo. Bussò a tutte le porte per reperire finanziamenti e, in una lettera al giovane collaboratore Giuseppe Tamburrano dell’ottobre 1973, si sfogò: “M’è venuto il dubbio che qualcuno pensi che io cerchi di salvare la vita della Critica per un interesse personale materiale. Ma è bene che si sappia ch’io dalla Critica non ho mai preso un quattrino e che invece devolvo a suo favore il cosiddetto “vitalizio di benemerenza” che mi è dato come “vittima politica” (lire trentatremila circa mensili). Inoltre pago l’abbonamento sostenitore”. Alla rivista Faravelli dedicò le sue ultime forze, fino alla morte che sopraggiunse il 15 giugno 1974.

AGI – “Improprio, irrazionale, finalizzato al conformismo giudiziario e dannoso perché rallenta ancora di più la giustizia”. Il presidente del Tribunale di Milano Fabio Roia boccia in un’intervista all’AGI il provvedimento con cui il governo introduce, a partire dal 2026, il test psico-attitudinale per i magistrati.

 

“Come prima cosa, è un’iniziativa che va in senso contrario agli obbiettivi del Pnrr, tra i quali c’è la velocizzazione del sistema. I test rallenteranno i concorsi e le procedure di reclutamento di nuovi magistrati. A Milano, mancano 60 giudici, c’è quindi una scopertura del 20 per cento e il 41 per cento del personale amministrativo. I test non aiuteranno a colmare questa carenza rendendo più complicato anche smaltire gli arretrati”.

 

“Nel merito mi risulta che dove si sono applicati questi test, come in Francia, non sono stati raggiunti gli obbiettivi. Il rischio è che certifichino un conformismo giudiziario di cui non abbiamo bisogno. Anzi: ora più che mai in un’ottica di interpretazione delle norme transnazionali, abbiamo bisogno di coraggio da parte dei magistrati”. 

 

 

Roia afferma che sono già attivi e funzionanti sistemi di controllo “sui requisiti dell’equilibrio, dell’indipendenza e dell’imparzialità”.

 

“È importante il controllo sull’equilibrio anche perché il nostro sta diventando un lavoro sempre più logorante anche alla luce della richiesta di produttività in condizione di organici insufficienti. I futuri magistrati vengono già ‘testati’ durante il tirocinio e nei sei mesi prima di prendere possesso della funzione e poi, quando lo diventano, ogni 4 anni. Una verifica che è necessaria per progredire nella carriera. A valutare il loro equilibrio, sono i presidenti dei tribunali e delle sezioni, il consiglio giudiziario, il Csm. Se un giudice per esempio è affetto da una patologia psichiatrica o si trova nella situazione, come a volte capita, di non depositare le motivazioni alle sue decisioni per un blocco, scatta la procedura della dispensa. Inoltre proprio una recente legge stabilisce che un magistrato non più in grado di svolgere le proprie mansioni viene spostato nella pubblica amministrazione, ovviamente senza mansioni decisionali”. Per il capo dei giudici milanesi, “questo provvedimento sembra una sorta di sfiducia che non ci meritiamo che lancia un’immagine distorta delle toghe”.

 

“Si confonde l’assenza di equilibrio con una decisione non gradita. Abbiamo anche noi i nostri demeriti ma in un corretto gioco di squadra in un sistema Paese le istituzioni non dovrebbero sfiduciarsi tra loro, per il bene dei cittadini”. 

 

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