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AGI – Chi ricorda soltanto usa i verbi al passato, chi rivive li gira al presente e riaccende la luce su un calendario simultaneo dove riappaiono tutti, i vivi e i morti. È così, declinata al presente, che il lettore conosce vita e morte, opere e rabbie, ostilità incoerenti e incongrue simpatie, accidie e vitalismi di Angela Izzo, donna capace di scandire tremendi improperi dialettali mentre continua a coltivare la passione giovanile per le etimologie latine e greche, schifando però la scelta del figlio quando s’iscrive a Lettere. Anzi, a “Letterelle”. Perché lei è “incline alla concretezza ma refrattaria alla ragione”, aggredisce tutto il mondo pensando che il mondo voglia aggredirla, è vanitosa ma estranea alle moine, innamorata della famiglia ma incapace di amministrare il sentimento. Predilige le barricate agli abbracci. Angela Izzo sarà forse identificata da san Pietro come dal suo professore di licenza liceale: “Angela, certo, da ‘Angello’, ‘annunciare’, e Izzo forse da Ypsos, ‘altezza’?”.
Nata in un paese del Sannio ma cresciuta a Napoli, diventerà moglie di un malinconico raffinato borghese più grande di lei e mamma di tre figli con cui – Catullo le è rimasto impresso come certi feroci proverbi napoletani – imbastirà un rapporto di perenne odi et amo. Ora lei continua a vivere anche dopo che è morta e anche per chi non la conosce perché è protagonista del libro di Antonio Franchini ‘Il fuoco che ti porti dentro’, pubblicato da Marsilio. Lei è (stata) la detestata amata madre dell’autore. E questo libro è il suo bacio feroce. Giovane, adulta, vecchia, morente, Franchini la restituisce a se stesso e ai lettori con la schiettezza coraggiosa e senza cinismo che si domanda a un ‘seppuku’, come ha notato Pietrangelo Buttafuoco in una intensa recensione. Se in un toccante racconto del precedente ‘Leggere possedere vendere bruciare’, Franchini descriveva il padre attraverso il suo amore per i libri, mentre con un affilato taglierino spacchettava i cartoni dei volumi ereditati, in quest’ultimo libro maneggia la spada corta per compiere uno squarcio longitudinale sulla figura della madre, donna ispida da cui presto s’allontanò partendo da Napoli per Milano per non essere come lei, “per mantenere, a distanza, un rapporto formalmente decoroso”.
Ma “poi il destino, che ha spesso il talento di predisporre le cose nel modo peggiore, ci ha riunito”. Anche Angela difatti tanti anni dopo si stabilirà a Milano, nell’appartamento accanto allo scrittore dove trascorrerà fino alla fine la vecchiaia stizzosa e visionaria. “Mi sono issato alle inferriate della sua finestra e le ho guardato dentro casa… mi sono reso conto che è mia madre e che sta morendo e che tutto ciò contro cui ho lottato per tutta la vita si dissolverà con lei, nel vuoto, in un niente”.
Tra immaginari “nanilli” che le rubano in casa e ricoveri in ospedale da paziente riottosa, tra liti esplose e inespresse tenerezze davanti al caffè, madre e figlio non riusciranno a rimuovere il panneggio che divide due visioni della vita e dell’umanità. Franchini dipinge in toni spietati e delicati, ironici e commoventi un ritratto di signora che non si ritrova altrove. Non c’è finzione in questa fiction, non c’è la mater dulcissima di Quasimodo ma una mater mediterranea che oppone il Sud al Nord con spregio sanfedista e capotico campanilismo; né c’è una mater lacrimarum come tante ne appaiono nella recente produzione narrativa italiana, laddove riescano a farsi breccia tra ispettori, commissari e portatrici di generiche sciagure ciascuna ritenuta speciale.
‘Il fuoco che ti porti dentro’ è una sberla all’intimismo ombelicale sul più intimo dei temi – raccontare non da romanziere né da memorialista, ma da scrittore, della propria madre – perché la differenza non è tanto nella materia quanto nella sua trasposizione priva di artifici letterari, di morale e contromorale della favola, della certificazione obbligatoria di un senso sottostante ai rapporti e alle vite individuali. Collocato sugli scaffali dei narratori italiani contemporanei soltanto per carenza di spazio nelle case, Franchini dovrebbe stare in un reparto a sé per la stilistica bisestile dei suoi libri, per la cifra dispari che gli deriva da una certa idea di letteratura, dal talento e dalla lunghissima esperienza di editore di successo, ossia di chi ha veduto i libri da un’altra prospettiva, dove sulla materia grezza del formato word si combattono montaggi, ripensamenti e tagli poi occultati al lettore.
Torna in mente il suo romanzo inchiesta ‘L’abusivo’, quando raccontò di uno spettacolo (di Walter Chiari) visto da dietro le quinte senza dovervi recitare ma fruendo della prospettiva rovesciata di uno spettatore interno. Proprio ne ‘L’abusivo’ già compariva Angela Izzo assieme a sua mamma, la nonna dell’autore, in duetti scontro che non restituivano solo un’atmosfera famigliare ma un ettaro sociale di humus napoletano, un domestico dietro le quinte di quanto accadrà en plein air nella città e che ne spiega certi umori collettivi altrimenti poco comprensibili.
Osservò Franchini in ‘Cronaca della fine’ che “anche un tema può essere ‘interessante’ ma raramente è un’opera di letteratura”. Ora, ne ‘Il fuoco che ti porti dentro’, aggiunge che “se non ci fosse la letteratura” neanche la vita che abbiamo posseduto possederemmo davvero, “perché ognuno se la ricorda a modo suo e la vita nostra non è affatto la vita nostra ma il racconto che ce ne siamo fatti e che chiunque abbiamo incontrato è in grado di raccontare in tutt’altro modo”. E poiché è letteratura (ma è anche interessante), questo libro non nasce con l’intento di “una resa dei conti postuma”, perché “non è leale battersi coi morti”, ma per onorare il desiderio di Angela di recitare ancora, attraverso le pagine del figlio, “una parte anticonformista e scorretta”. L’autore rimane comunque marzialmente fedele a un principio che espresse ventidue anni fa, in un succinto ‘Rileggersi da adulti’ che accompagnava la ristampa di ‘Quando scriviamo da giovani’: “La scrittura per me non chiude i conti con la vita”.
AGI – La Procura di Roma, al termine della requisitoria di fronte al terzo collegio penale, ha chiesto le condanne a 8 anni di reclusione per Gianfranco Fini, a 9 anni per Elisabetta Tulliani, a 10 anni per Giancarlo Tulliani e a 5 anni per Sergio Tulliani.
La contestazione, a vario titolo, e riciclaggio. Al centro della vicenda giudiziaria c’è la vendita della casa di Montecarlo, lasciata in eredità dalla contessa Annamaria Colleoni ad Alleanza Nazionale, che sarebbe stata acquistata, secondo l’accusa, da Giancarlo Tulliani attraverso società off-shore. Un’operazione effettuata nel 2008, per poco più di 300mila euro e che con la vendita dell’immobile nel 2015 frutto’ un milione e 360mila dollari.
“Era scontato che la pubblica accusa chiedesse la condanna, continuo ad avere fiducia nella giustizia. Questo in ragione della mia completa estraneità rispetto a quanto addebitatomi”, ha commentato Gianfranco Fini.
La compagna: “Nascosi a Gianfranco la volontà di mio fratello”
“Sento il dovere di confessare le mie responsabilità: ho nascosto a Gianfranco Fini la volontà di mio fratello di comprare la di casa Montecarlo. Non ho mai detto a Fini la provenienza del denaro che ero convinta fosse di mio fratello; il comportamento spregiudicato di mio fratello rappresenta una delle più grandi delusioni della mia vita”.
Lo ha affermato, di fronte ai giudici del tribunale di Roma, Elisabetta Tulliani. La donna è imputata assieme all’ex presidente della Camera Gianfranco Fini, al padre Sergio Tulliani e al fratello Giancarlo Tulliani. “Spero – ha aggiunto – di aver dato un elemento per arrivare alla verità”.
Al centro della vicenda giudiziaria c’è la vendita della casa di Montecarlo, lasciata in eredità dalla contessa Annamaria Colleoni ad Alleanza Nazionale, che sarebbe stata acquistata, secondo l’accusa, da Giancarlo Tulliani attraverso società off-shore. Un’operazione effettuata nel 2008, per poco più di 300mila euro e che con la vendita dell’immobile nel 2015 frutto’ un milione e 360mila dollari.
AGI – Una serata in discoteca è finita tragicamente per una donna a Catania, che ha accusato due uomini di violenza sessuale nei suoi confronti. La mattina dello scorso 9 marzo un passante ha segnalato alla polizia che in via Vincenzo Giuffrida si trovava una donna in lacrime che chiedeva aiuto perché aveva subito violenza sessuale da parte di due sconosciuti. Sul posto è immediatamente intervenuta una volante il cui equipaggio ha immediatamente individuato la vittima seduta sui gradini del portone di uno stabile. In lacrime ha raccontato ai poliziotti di aver subito una violenza fisica e sessuale da parte di due uomini, di cui forniva anche le descrizioni, che si trovavano ancora all’interno dell’appartamento dove si era verificato il crimine. Gli agenti intervenuti hanno, quindi, richiesto l’ausilio di un altro equipaggio per poter procedere con tutti gli accertamenti e gli approfondimenti del caso.
Seguendo le indicazioni fornite dalla vittima che però non ricordava esattamente né l’ubicazione né il piano dell’abitazione, probabilmente per lo choc subito, hanno iniziato la ricerca tra i vari appartamenti del complesso condominiale, piano per piano, attingendo informazioni dai vari condomini, fino a quando hanno localizzato l’unica abitazione col campanello e col citofono non funzionanti. Dopo aver insistentemente bussato senza ottenere alcuna risposta, dal corpo scala dello stabile, tramite una porta di emergenza che dà accesso ai balconi, i poliziotti sono riusciti ad accedere al balcone dell’abitazione al cui interno si intravedeva un uomo che è stato invitato ad aprire la porta d’ingresso, e la persona apparsa alla porta dell’appartamento corrispondeva alla descrizione di uno dei due soggetti indicati dalla vittima ed era nervosa.
La donna, che nel frattempo si trovava nell’androne del palazzo dove i sanitari del 118, intervenuti su richiesta dei poliziotti, le stavano prestando le prime cure, ha immediatamente riconosciuto il luogo dove si era svolta la violenza, entrando in uno stato di agitazione. All’interno dell’appartamento, l’uomo, poi identificato quale un catanese di 45 anni, pluripregiudicato anche per reati di violenza sessuale, ha eluso le domande degli investigatori, non fornendo una spiegazione valida in merito alla sua presenza in quel luogo. Poi, incalzato dagli operatori di polizia, ha riferito di trovarsi lì insieme al suo datore di lavoro, che al momento stava riposando in un’altra stanza. Gli agenti hanno trovato un uomo – anche anch’egli corrispondente alla descrizione fornita dalla donna – sdraiato a dormire profondamente tanto da non accorgersi della presenza dei poliziotti.
A quel punto l’uomo si è dimostrato infastidito dalla presenza della polizia, prima chiedendo spiegazioni, poi andando addirittura in escandescenza, balzando giù dal divano ed attivando con il telefono cellulare, in modalità di videoregistrazione, una diretta social, riprendendo la scena e chiedendo aiuto perché vittima di aggressione, simulando finanche di aver ricevuto degli schiaffi e coprendosi il viso con una mano. Nonostante venisse invitato alla calma, l’uomo avrebbe continuato a urlare e a minacciare i poliziotti arrivando a lanciargli contro il telefono cellulare che aveva in mano, senza colpire nessuno dei presenti. Si tratta di un catanese 35enne, pregiudicato, in preda all’ira, scaturita verosimilmente anche dai fumi dell’alcool e delle sostanze psicotrope che probabilmente aveva assunto. Ha provato a scagliarsi contro gli agenti che, a quel punto, sono stati costretti ad ammanettarlo.
All’interno dell’appartamento, dove è stata anche fatta intervenire la Polizia Scientifica, sono state rinvenute numerose bottiglie di alcolici e tracce di cocaina e crack. I due uomini sono stati condotti presso gli uffici della Questura per ulteriori approfondimenti e per ricostruire l’accaduto. È emersa la triste fine di una serata cominciata in discoteca e finita nell’appartamento nella disponibilità del 35enne dove, probabilmente a causa dell’abuso di alcolici e di sostanze stupefacenti, la situazione è poi degenerata. I tentativi di violenza sessuale e le aggressioni fisiche subite hanno costretto la donna a fuggire in strada. Uno dei due si era anche impossessato del denaro che la donna aveva nella borsa e le aveva distrutto il telefono, probabilmente per impedirle di chiedere aiuto.
La vittima, ultimati gli accertamenti clinici presso il Pronto Soccorso, è stata dimessa con una prognosi di 15 giorni, per le lesioni riportate. I due uomini sono stati arrestati per tentata violenza sessuale, sequestro di persona, rapina e danneggiamento in concorso; il 35enne anche per resistenza a pubblico ufficiale. Su disposizione del Pm di turno i due sono stati ristretti presso la Casa Circondariale di Piazza Lanza, in attesa della convalida innanzi al GIP che, dopo averne convalidato l’arresto, ha disposto nei loro confronti la misura della custodia cautelare in carcere.
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